Le Rivolte in Francia spaventano anche l’Europa

A sei giorni dall’inizio delle violente proteste che stanno sconvolgendo la Francia dopo la morte del diciasettenne Rahel, ucciso da un agente di polizia vicenda, l’opinione pubblica francese sempre più sgomenta: si chiede se il governo è ancora in grado di riportare l’ordine nelle periferie ma soprattutto se potrà evitare che tutto questo accada di nuovo. Rispetto alle rivolte del passato ad esempio quella dei Gilet Gialli, sostenuta dall’estrema sinistra di Jean Luc Melanchon, iniziata il 17 novembre 2018 e durata quasi fino alla metà del 2019, non può che destare preoccupazione la saldatura in corso tra manifestanti, criminali e spacciatori di droga, con elementi legati all’estremismo islamico che sono scesi in piazza a gridare «non abbiamo paura, siamo musulmani, musulmani orgogliosi. Se i poliziotti cercano di ucciderci, li uccideremo a nostra volta. Siamo autorizzati, è scritto nel Corano». Ma perché protestano? A causa delle disuguaglianze sociali? Oppure perché chi protesta non accede all’istruzione, alle cure mediche e a tutti i servizi pubblici come tutti gli altri cittadini francesi? No di certo. Perché la Francia con tutti i suoi difetti è il paese dell’Unione Europea che più spende per protezione sociale in rapporto al Pil: 31,2% (dato 2019). Tutto denaro che arriva anche nelle banlieus dell’Esagono abitate da milioni di persone in gran parte provenienti dal Nord Africa: Algeria, Marocco, Tunisia oppure dal Sahel come il Mali ed altri. Le oltre 857 le persone arrestate dopo la sesta notte di disordini in Francia, le decine di poliziotti e i gendarmi feriti mentre un pompiere è morto mentre tentava di domare un incendio, gli almeno 600 e veicoli dati alle fiamme e più di cento edifici incendiati e gli almeno 1.223 incendi registrati su strade pubbliche, mostrano un paese che non riconosce più l’autorità. Un paese spaccato che va verso la sua disintegrazione come scrive su Panorama.it Lorenzo Castellani. Come si legge su le Figaro, con un’età media di 17 anni, i rivoltosi provengono principalmente dai quartieri e secondo quanto emerso dalle indagini il 40% di loro ha già un passato criminale. «Per il resto sono delinquenti opportunisti, venuti per rubare o per gareggiare, quasi come in un videogioco -dice un commissario parigino- Molti non si rendono conto della gravità delle loro azioni. Quando li interroghiamo, questi ragazzi ci danno spiegazioni fantasiose ma pochi sono quelli che ci dicono che hanno agito in nome di Nahel. Ci stiamo quindi allontanando dall’evento generatore, ma resta intatto il soffio dell’odio rivolto a noi». L’autorità regionale dei trasporti ha identificato un totale di 39 autobus bruciati in tutta l’Ile-de-France dall’inizio dei disordini, in particolare 12 autobus nel deposito RATP di Aubervilliers (Seine-Saint-Denis) e 14 autobus nel deposito della Azienda ProCars a Provins (Seine-et-Marne). Il treno della linea tranviaria T6 è stato completamente distrutto dalle fiamme a Clamart e la linea T10 gravemente danneggiata. Secondo una prima stima di Île-de-France Mobilités (IDFM), ente pubblico locale incaricato di finanziare i trasporti nella regione, i danni per il trasporto pubblico sarebbero quantificati in piu’ di 20 milioni di euro come scrivono Le Figaro e Le Parisien.

Chi conosce la Francia non può che riconoscere che il paese è da tempo ostaggio di comunità autoreferenti che hanno fatto dell’illegalità la loro bandiera e in tutto questo si inseriscono le istanze dell’islam politico della Fratellanza musulmana che tiene sotto scacco anche le scuole dell’Esagono dove ormai non si può più parlare della laicità dello Stato, tanto che gli insegnanti vivono nel terrore dei genitori degli alunni musulmani che minacciano i docenti ogni volta che si affronta un argomento a loro sgradito. Senza dimenticare l’annosa questione del velo e molte altre. Oltre a loro ci sono gli imam estremisti che fomentano i giovani musulmani a vivere secondo le regole della sharia e a rifiutare le regole fondamentali dello Stato francese. Certo, nelle periferie francesi c’è degrado, disagio sociale e non c’è lavoro, tuttavia, quanto vediamo in questi giorni affonda le sue origini in almeno tre decenni di politiche sbagliate fatte da tutti coloro (destra e sinistra) che hanno governato la Francia e prova ne è che moltissimi migranti di prima e seconda generazione non sono mai integrati nella società francese pur godendo dei benefici, quali i sussidi a pioggia. Inoltre il fatto che esistano almeno 150 enclave islamiche dove si vive seguendo i dettagli della sharia, dove le donne camminano dietro agli uomini completamente velate e dove le scuole sono islamizzate, sancisce il fallimento dello Stato francese che non è nemmeno riuscito a frenare la continua edificazione di moschee e altre strutture islamiche sempre più spesso controllate dalla Fratellanza musulmana e dagli imam salafiti.

Che la situazione fosse gravissima lo si doveva capire tempo fa, dopo che quasi 2.000 francesi partirono per andare a fare la loro «guerra santa» in Siria e in Iraq (ma prima furono preceduti da quelli che andarono in Afghanistan con al-Qaeda, nelle due guerre cecene e nei Balcani), imitati da coloro che sono rimasti in Francia per portare nelle strade, nelle piazze, nelle redazioni dei giornali e nei teatri la loro jihad. Allora che fare? Probabilmente occorre dichiarare lo stato di emergenza e schierare senza più indugi l’esercito, oltre ad effettuare operazioni di polizia che stronchino definitivamente il traffico di droga. Poi vanno espulsi tutti gli imam che predicano il male e lo stesso vale per i binazionali che vanno privati della nazionalità francese, fermare i finanziamenti alle istituzioni islamiche che promuovono il sepratismo e, cosa ancor più urgente, mettere fuori legge la Fratellanza musulmana. Fin qui la repressione, ma è evidente che occorra molto di più, come scrive Lorenzo Castellani: «Politiche urbanistiche che ‘spezzino’ le banlieu, laicità della scuola senza eccezioni per le minoranze, progetti di educazione civica, politiche sociali e del lavoro per rafforzare l’integrazione dei più giovani e delle seconde generazioni. E, naturalmente, visti gli enormi problemi che si hanno davanti, una politica europea di governo dell’immigrazione illegale più rigida ed efficace che limiti le ondate migratorie». Si tratta di sfide enormi che attendono la Francia ma non c’è più tempo da perdere perché la guerra civile stavolta è davvero dietro l’angolo. 

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