
La Regione Toscana ha dimostrato coraggio e responsabilità, ponendosi all’avanguardia nella tutela della dignità individuale con l’approvazione della prima legge regionale sul fine vita. In un Paese in cui il Parlamento si ostina a ignorare un tema così delicato e urgente, la Toscana ha scelto di rispondere con concretezza e umanità alle esigenze di chi soffre. Con questa normativa, finalmente, i cittadini avranno un quadro chiaro di diritti e procedure per accedere al suicidio medicalmente assistito, come stabilito dalla sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale.
Un’iniziativa popolare che ha scosso la politica
L’iter che ha portato all’approvazione di questa legge non è stato semplice. La proposta, nata grazie all’iniziativa dell’Associazione Luca Coscioni e supportata da oltre 10mila firme, ha ricevuto il sostegno di una larga maggioranza del Consiglio regionale. Un segnale forte e inequivocabile che dimostra come la politica, quando vuole, può rispondere alle richieste della società civile con pragmatismo e sensibilità.
Una legge di giustizia e dignità
Questa legge non impone nulla a nessuno, ma garantisce il diritto fondamentale alla libertà di scelta per chi si trova in condizioni di sofferenza estrema, senza speranza di guarigione. Stabilisce procedure chiare per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito, assicurando che ogni richiesta venga valutata da una Commissione multidisciplinare composta da esperti in cure palliative, psichiatria, medicina legale e infermieristica. Un organismo che avrà il compito di verificare i requisiti stabiliti dalla Corte Costituzionale: patologia irreversibile, sofferenza insopportabile, dipendenza da trattamenti di sostegno vitale e capacità di assumere una decisione libera e consapevole.
Non si tratta di una “scorciatoia” o di un atto sbrigativo, come qualcuno vorrebbe far credere. La legge toscana definisce tempi e modalità precisi per l’accesso alla procedura, eliminando incertezze e assicurando che ogni passo avvenga nel rispetto della volontà del paziente. Non un abbandono, ma un accompagnamento dignitoso e regolato, esattamente come richiesto dalla Corte Costituzionale.
Un vuoto normativo che non può più essere ignorato
Quindici Regioni hanno affrontato la questione del fine vita, ma solo in Toscana è stato superato lo stallo politico. Questo dimostra come la mancanza di una legge nazionale stia costringendo le istituzioni locali a intervenire per garantire diritti che lo Stato centrale continua a ignorare. La responsabilità di questa inerzia è del Parlamento, ostaggio di forze politiche che preferiscono fingere che il problema non esista piuttosto che affrontarlo con maturità.
La sentenza della Corte Costituzionale ha già stabilito che chi soddisfa determinati requisiti ha il diritto di accedere al suicidio assistito senza incorrere in sanzioni penali. Eppure, senza una legge chiara, molte persone sono costrette a battaglie giudiziarie o, peggio, a cercare soluzioni all’estero. La Toscana ha posto fine a questa ipocrisia, fornendo una risposta normativa a una realtà già riconosciuta dal nostro ordinamento.
Le critiche della destra: un tentativo di censura morale
Le reazioni del centrodestra non si sono fatte attendere. Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia hanno definito la legge “disumana” e “incostituzionale”, chiedendo al governo di impugnarla. Ma cosa c’è di disumano nel garantire una scelta consapevole a chi soffre? Cosa c’è di incostituzionale nel rispettare una sentenza della Corte Costituzionale?
Queste posizioni tradiscono una visione ideologica che antepone il controllo sulle vite degli altri al rispetto della libertà individuale. Nessuno obbliga chi non vuole a ricorrere al suicidio assistito, così come nessuno dovrebbe avere il potere di impedire a chi ne ha diritto di scegliere per sé stesso. La vera “pagina vergognosa” è quella scritta da chi continua a negare ai cittadini una legge nazionale sul fine vita, lasciando le persone più fragili in un limbo di incertezza.
Un passo avanti, in attesa del Parlamento
La legge toscana rappresenta un passo fondamentale verso il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione, ma non può essere l’unica risposta. Il Parlamento ha il dovere di intervenire, ponendo fine a un vuoto normativo che da troppi anni costringe cittadini e magistrati a muoversi in un terreno incerto. Se il governo deciderà di impugnare la legge, lo farà contro la volontà di migliaia di italiani che chiedono solo rispetto e dignità. La Toscana ha aperto una strada, ora spetta allo Stato dimostrare di essere all’altezza della civiltà e della giustizia.