La tattica di Hamas

Per comprendere come funziona larga parte della diplomazia occidentale quando si tocca il tema della questione palestinese bisogna immaginare un distributore di bibite rotto. Nel distributore ci sono la coca-cola, il te freddo, l’aranciata, il chinotto etc… ma qualcosa nel distributore si è guastato, per cui, qualsiasi bevanda venga selezionata e qualsiasi moneta venga inserita, il distributore fornirà solo e sempre una bottiglietta di acqua liscia. Allo stesso modo, quando si arriva a parlare della questione palestinese i politici ed i diplomatici occidentali, indipendentemente da quello che sta succedendo in quel martoriato territorio, alzano la testa dalla scrivania e rispondono: “Due popoli, due Stati”. Se, in linea teorica, questa potrebbe essere l’unica soluzione possibile per un futuro di pace nell’area – soluzione, tra l’altro, che si può applicare teoricamente a quasi qualsiasi zona di conflitto del mondo, Ucraina e Russia comprese – non può sfuggire che una dichiarazione, o un atto, assumono significati assolutamente diversi a seconda del contesto in cui vengono espressi. “Beati i perseguitati dalla legge perché loro sarà il regno dei cieli” è una dichiarazione che Gesù di Nazareth fa in un determinato contesto spazio-temporale. Ma se questa stessa dichiarazione fosse stata fatta nei giorni del rapimento Moro oppure subito dopo la cattura di Totò Riina quelle stesse parole avrebbero necessariamente avuto un diverso impatto sul pubblico. La diplomazia occidentale sembra avere semplicemente ignorato la regola del contesto: Hamas compie una strage spaventosa in Israele? Bene, la risposta occidentale è come sempre e come al solito: “Due popoli, due Stati”. Possibile che i politici di gran parte del mondo democratico non si rendano conto di quale enorme favore stiano facendo alla tattica che usa Hamas? Hamas in questo modo diventa agli occhi di larga parte dell’opinione pubblica palestinese (e non solo) l’unica forza in grado di porre la questione palestinese all’ordine del giorno. Non soltanto, vista la reazione occidentale è di stringente logica immaginare che più stragi si faranno in futuro più ci sarà la possibilità che si creino le condizioni per la formazione di uno Stato di Palestina.

Non auto-inganniamoci dicendo che Hamas però non vuole due Stati in Palestina ma distruggere Israele e che la soluzione “due popoli – due Stati” quindi non premia Hamas. Ad Hamas va benissimo che, come tappa intermedia, si crei uno Stato Palestinese che possa porre le basi per la successiva conquista dell’intero territorio “dal fiume al mare”. Purché, beninteso, Hamas in questa futuribile Nazione palestinese possa muoversi come uno Stato nello Stato. Il modello è quello dell’Hezbollah libanese: è a questo modello che la tattica di Hamas si ispira per il futuro ed è in questa direzione che Hamas si sta già muovendo. Per Hamas non è un problema se il futuro vedrà la creazione di una specie di governo tecnocratico a Gaza e nei Territori Occupati, anzi; ad Hamas di organizzare la raccolta dell’immondizia e di gestire il traffico stradale in Palestina non importa è non ha mai importato nulla e se lo fa qualcun altro è ancora meglio. Ad Hamas importa che all’ombra di questa futuribile entità statuale palestinese potrà avere lo spazio necessario per riorganizzare la sua rete terroristica e gettare le basi per la conquista del potere sulle altre fazioni della resistenza. Questa tattica ha come copertura un progetto che si chiama: “Progetto Nazionale Palestinese”, e non manca di volonterosi sponsor.

A Doha, in Qatar, si è tenuto nel febbraio scorso il “Simposio sul progetto nazionale palestinese”. Sotto i benevoli occhi degli emiri qatarioti si sono susseguiti gli interventi di quei leader palestinesi ed arabi che spingono affinché Hamas venga fatta entrare nell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Primo tra tutti ha parlato Mustafa Barghouti, c’è stato poi un intervento a sostegno della causa da parte di un intellettuale del Qatar, il Professor Adeeb Zladeh, il quale ha detto che: “l’OLP deve superare la crisi di esclusività nel processo decisionale palestinese” (traduzione: ad Hamas deve essere concesso di entrare nell’OLP). Ma forse la presenza al Simposio più significativa è stata quella di Ahmed Ghoneim. Ahmed Ghoneim è un ex membro del Consiglio Rivoluzionario di al-Fatah e potrebbe rappresentare il grimaldello per far andare in pezzi la storica organizzazione di Arafat che mantiene il controllo sull’OLP. Poche settimane fa Gonheim è stato protagonista di un evento che non ha precedenti nella storia recente dell’OLP, Ghoneim ed una sessantina di esponenti della società palestinese hanno tenuto una conferenza a porte chiuse sulla “iniziativa nazionale palestinese” nientemeno che a Ramallah, cioè nel luogo simbolo dove si esercita il potere dell’OLP di Abu Mazen e di Fatah. A questa conferenza erano presenti anche altri rappresentanti di Fatah come Fakhri Barghouti. E’ un segnale del fatto che Fatah potrebbe davvero spaccarsi sulla questione se includere o meno Hamas nell’OLP. Di solito le fratture all’interno delle fazioni palestinesi non seguono soltanto la via del dibattito, soprattutto quando in gioco ci sono posti di potere; in questo senso un futuro che veda un quadro di anarchia armata tra le fazioni della resistenza non è da escludere. Si apre la possibilità che il “dopo Gaza” possa coincidere con la sostanziale scomparsa dell’OLP, cioè dell’unico organismo rappresentativo del popolo palestinese riconosciuto internazionalmente, almeno fino ad ora.

Il quartiere Shaboura a Rafah

 

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