La Siria non esiste più

Al posto della Siria, per ora, c’è un territorio controllato vagamente da un gran numero di milizie armate

Muhammad Al Jolani leader dei jihadisti

La Siria che conoscevamo ha cessato di esistere. Al suo posto, per ora, c’è un territorio controllato vagamente da un gran numero di milizie armate. Forse la Siria un giorno ritornerà a essere uno Stato, forse no, l’unico fatto certo è che adesso, tra la Turchia e l’Iraq, tra la Giordania, Israele e il Libano, confina un territorio che prima si chiamava Siria.

Brutalmente: questa guerra su base settaria è stata vinta dai sunniti e persa dagli sciti, su base politica è stata vinta dalla Turchia e persa dall’Iran, dall’ Hezbollah libanese e dalla Russia. Ci sarà tempo per analizzare e approfondire le cause e i risultati di questa guerra nella ex-Siria; ma siccome la caduta della dittatura feroce di Bashar Assad non mette la parola fine su tutto e gli accadimenti continuano ad accavallarsi, cerchiamo – per quanto possibile – di capire cosa sta succedendo, ora e qui, nell’ex territorio siriano.

I Curdi

A nord-est di Aleppo, il cosiddetto “Esercito Nazionale Siriano”, che è un variegato raggruppamento di milizie agli ordini della Turchia, sta attaccando Manbij, la roccaforte curda rimasta a ovest del fiume Eufrate. I curdi si difendono, vedremo gli sviluppi della battaglia.

Un altro punto di frizione tra i curdi e le milizie che hanno preso Damasco è la zona sud-orientale della ex Siria. Le Syrian Democratic Forces hanno preso il controllo di Deir ez Zor e di altri territori a ovest del fiume Eufrate, ai confini con l’Iraq. Benché i ribelli e le SDF a guida curda abbiano fin qui evitato di scontrarsi, il controllo dell’area di Deir ez Zor potrebbe portare al confronto armato.

Lo Stato islamico é contento

Benché sia uscito dai radar dei mezzi informativi, lo Stato Islamico in Siria è stato molto attivo e letale in questi anni, molto più che in Iraq, e controlla diverse aree nel deserto centrale ex siriano. Con la fuga di russi, iraniani e assadisti, e le milizie curde alle prese con gli sconvolgimenti degli ultimi giorni, lo Stato Islamico ha la possibilità di estendere la sua presa nel deserto di al-Badia.

Cosa succederà alle basi russe?

La conquista della Siria da parte dei ribelli si è sviluppata da Aleppo a nord verso Damasco a sud e poi si è allargata ad est, nei territori desertici scarsamente abitati. Fino a qui è stata lasciata in disparte la costa mediterranea che si estende dalla provincia di Latakia alla provincia di Tartus. Presso Latakia i russi hanno una base aerea e a Tartus una base navale. Le uniche che abbiano mai avuto nel mediterraneo. Le province di Latakia e Tartus rappresentavano la cosiddetta “Siria utile”, verdeggiante e collinosa. Qui vive quella che è stata da sempre la base sociale del regime di Bashar Assad, rappresentata dalla popolazione scita di confessione Alawita, la stessa del dittatore. Parte dell’esercito di Assad in fuga si è ritirata in quest’area. Resta da capire cosa accadrà ora a queste due province abitate dall’ex setta siriana dominante e ora sconfitta; e cosa ne sarà delle basi areo-navali russe sul Mediterraneo. I russi questa mattina hanno diffuso un comunicato in cui dicono che le basi: “Sono in massima allerta ma non corrono alcun pericolo”. Gli insorti siriani lasceranno tranquilli coloro i quali hanno portato la strage dai cieli sulle loro città? Oppure la Russia, malgrado tutto, riuscirà a strappare un accordo e mantenere le sue basi militari? Lo vedremo.

Le armi chimiche

Il crollo del regime ha lasciato in balia di chiunque i suoi deprecati arsenali chimici. Per tagliar la testa al toro, gli israeliani ne hanno distrutti alcuni. Altri dovrebbero essere stati presi dalla formazione di punta delle milizie ribelli, Hayat Tahrir al Sham, la quale ha emesso un comunicato in cui si dichiara che essi non intendono fare uso di armi chimiche, che gli arsenali chimici in loro possesso sono stati sigillati e sono protetti militarmente e che Tahrir al Sham è disposta a coordinarsi con le organizzazioni internazionali per deciderne il futuro.

I Paesi confinanti

Da oggi Israele, Libano, Giordania e Iraq non sanno più con chi confinano; o meglio: sanno che d’ora in poi confineranno con varie ed eventuali milizie jihadiste e/o filo-turche, oppure etnico-nazionaliste. Sulle alture del Golan, tra Israele e la ex Siria correva una fascia smilitarizzata protetta e monitorata dalle truppe dell’ONU. Per precauzione, l’Esercito con la Stella di Davide ha occupato “temporaneamente” questa fascia smilitarizzata spostando il suo schieramento dalla “linea Alfa” alla “linea Bravo”. Gli sviluppi della situazione sono anche legati alle garanzie che forniranno, o non forniranno, le milizie ribelli siriane.Per il resto, tutti i Paesi confinanti con la ex Siria hanno chiuso le frontiere o, al massimo, hanno lasciato aperto un solo valico. La paura immediata sono i flussi di profughi. Gli iracheni si ritrovano sul confine nord 2.000 ex-soldati sbandati dell’Esercito Arabo Siriano di Bashar Assad che chiedono asilo. Ma chi trema di più ora è il Libano, una quasi non-Nazione, attraversata da fratture settarie che paiono insanabili, con un esercito debolissimo. Il Libano è una Nazione che in realtà è messa sotto tutela dalle milizie scite di Hezbollah. Ed Hezbollah ha rappresentato, con gli iraniani e i russi, la spina dorsale di quella struttura militare che ha mantenuto Assad al potere negli ultimi 13 anni.

Lo abbiamo già scritto in precedenza; la principale milizia tra quelle che hanno abbattuto la dittatura siriana si è nominata: “Hayat Tahrir al Sham”, che significa “Organizzazione per la liberazione del Levante”. “Sham”, è un termine arcaico per definire il “Levante”. “Sham” non indica la Siria, ma un più vasto territorio – il “Levante” – che comprende grosso modo Israele, il Libano , la Giordania, la ex Siria e parte dell’Iraq. Un territorio che può essere rimodellato senza tener conto dei confini nazionali stabiliti nel corso del ‘900. Paesi come il Libano potrebbero essere facilmente risucchiati in questo “rimodellamento”, che – a scanso di equivoci – ha come base l’eterna lotta settaria tra sciti e sunniti. Non una fredda analisi, ma invece un pensiero, va ai più grandi sconfitti di questa Guerra Siriana durata 13 lunghi anni. I grandi sconfitti sono tutte quelle persone – ed erano tante – scese pacificamente nelle piazze siriane nel corso del 2011, persone che si sentivano “siriane” e volevano una Siria più libera e più democratica. La speranza di un rinnovamento democratico portata avanti nel corso delle Primavere Arabe è morta e ogni giorno continua a morire tra le prigioni dei torturatori di regime e l’avanzare dei pick-up Toyota su cui sventolano le bandiere jihadiste.

@Riproduzione riservata