La Thailandia è stata scossa da un caso criminale che sembra uscito da un romanzo giallo. Sararat Rangsiwuthaporn, una donna di 37 anni, è stata condannata a morte per una serie di omicidi lucidamente pianificati. Soprannominata dai media la “Regina del Cianuro”, Sararat è accusata di aver avvelenato almeno 15 persone, un’inquietante catena di crimini che ha lasciato dietro di sé una scia di morte e dolore.
Il movente della “Regina del Cianuro”: debiti e avidità
Secondo la polizia, il movente di Sararat era chiaro: denaro. Con migliaia di dollari di debiti accumulati tramite carte di credito, la donna aveva sviluppato un modus operandi spietato. Chiedeva prestiti alle sue vittime, persone che conoscevano e di cui si fidavano. Ma quando queste cercavano di riavere il loro denaro, venivano avvelenate con il cianuro.
Il vice capo della polizia nazionale, Surachate Hakparn, ha spiegato in tribunale che il suo schema era tanto semplice quanto mortale: “Quando le vittime le chiedevano indietro i soldi, iniziava a ucciderle”.
Il caso simbolo: Siriporn Khanwong amica della “Regina del Cianuro”
La condanna a morte di Sararat è arrivata principalmente per l’omicidio di Siriporn Khanwong, una donna di 32 anni che considerava Sararat un’amica. Nell’aprile 2023, durante un viaggio apparentemente innocuo per partecipare a un rituale buddista, Siriporn venne avvelenata. Il rituale, che prevedeva il rilascio di pesci in un fiume per ottenere buon karma, si è trasformato in tragedia quando Siriporn si è accasciata a terra priva di sensi.
L’autopsia ha rivelato che la causa della morte era un avvelenamento da cianuro, una scoperta che ha dato il via a un’indagine approfondita.
Una scia di vittime
Le autorità hanno collegato Sararat ad almeno altre 13 vittime, tutte morte in circostanze sospette. Tra queste, il suo stesso fidanzato, Sutthisak Phoonkhwan, deceduto nel marzo 2023. Le vittime, di età compresa tra i 33 ei 45 anni, condividevano tutte un tratto comune: avevano prestato denaro alla donna.
Le famiglie di diverse vittime, inizialmente reticenti, si sono fatte avanti dopo il clamore mediatico, raccontando come i loro cari fossero morti improvvisamente dopo aver condiviso un pasto o una bevanda con Sararat.
Il ruolo dell’ex marito
Anche Witoon Rangsiwuthaporn, ex marito di Sararat e poliziotto, risulta coinvolto nell’inchiesta. Sebbene abbia negato di essere a conoscenza degli omicidi, ha ammesso di aver ricevuto beni rubati dalle vittime. Inoltre confermò la partecipazione ad attività illecite come l’uso di documenti falsi. La sua complicità, anche se indiretta, getta un’ombra sulla sua figura e solleva dubbi sulla possibilità che potesse ignorare le attività criminali della sua ex moglie.
Un caso che ha sconvolto il paese
La freddezza di Sararat nel pianificare ed eseguire i suoi crimini ha scioccato l’opinione pubblica. La donna ha sempre negato le accuse, ma le prove schiaccianti — tra cui testimonianze, tracce di cianuro e movimenti bancari — hanno tracciato un quadro inconfutabile.
La sentenza di morte, pur essendo una misura estrema, è vista da molti come un atto di giustizia per le vittime e le loro famiglie. Tuttavia, il caso della “Regina del Cianuro” rimane un macabro promemoria di come avidità e disperazione possono trasformarsi in un’arma mortale.
Riflessioni finali
La storia di Sararat Rangsiwuthaporn non è solo un caso di cronaca nera, ma anche un ammonimento sulla natura umana e i pericoli della fiducia malriposta. In una società sempre più interconnessa, dove il denaro spesso governa i rapporti personali, la vicenda della “Regina del Cianuro” rappresenta uno degli episodi più cupi della storia criminale recente.