La guerra che Putin non si aspettava

Ucraina. Un bilancio

Nel febbraio 2022 la Russia lanciò un’operazione di truppe speciali che avrebbero dovuto sbarcare dagli elicotteri presso l’aeroporto di Hostomel, nelle vicinanze di Kyiv, ed il cui compito sarebbe stato quello di entrare in città, uccidere la dirigenza politica ucraina e portare al potere un governo-fantoccio filo russo; a questa operazione sarebbe dovuta seguire l’invasione dell’Ucraina da parte delle forze armate del Cremlino. Putin supponeva che l’esercito russo a quel punto sarebbe entrato in territorio ucraino trovandosi, per cosi dire, “la porta aperta”, e sperava di poter riprodurre all’incirca la situazione che nel 2014 gli aveva permesso di impossessarsi della Crimea; con il vertice politico ucraino decapitato, che avrebbe lasciato le truppe di Kyiv senza ordini precisi, ed una serie di defezioni già organizzate tra i comandanti e i dirigenti dei servizi segreti, l’occupazione dell’Ucraina avrebbe dovuto essere una questione di pochi mesi se non di settimane. Questa pianificazione spiega perché i russi intrapresero l’avventura ucraina con un numero di truppe totalmente insufficiente per l’obiettivo che si erano date, perché le colonne corazzate russe avanzassero verso Kyiv senza protezione aerea, come fossero in parata, e perché ai soldati che attaccarono la capitale vennero date razioni alimentari per soli tre giorni.
Come sappiamo l’operazione iniziale di rovesciamento del potere a Kyiv fallì completamente e mandò a gambe all’aria il piano di Putin, che aveva immaginato un esercito russo che entrava in un Ucraina già in preda al caos, più che altro con il compito di eliminare alcune sacche di resistenza. Benché il piano del Cremlino si sia risolto subito in un fiasco, la macchina bellica era ormai stata messa in movimento; solo che a quel punto le truppe russe entrarono in Ucraina trovandosi di fronte ad una resistenza formidabile.Vista la disfatta iniziale, il Cremlino è riuscito abbastanza in fretta ad adattarsi alla difficile situazione. Putin ha presto rinunciato al suo progetto di conquistare l’intera nazione, ripiegando sul più modesto tentativo di assicurarsi il grande bacino del Donetsk – il Donbass – e la regione occidentale di Kherson, oltre il fiume Dniepr. Ma anche in questo caso la Russia si è sopravvalutata: le truppe che a quel punto aveva a disposizione non erano sufficienti neppure per questo tipo di operazione. Il contrattacco ucraino a sorpresa, che nell’estate del 2022 portò alla riconquista della regione di Kharkiv – controllata in quel momento da un numero esiguo di forze russe – ne fu la dimostrazione. Altrettanto si può dire per il contingente russo che aveva occupato la regione di Kherson, il quale dovette ritirarsi perchè troppo lontano dalle linee di una logistica che faticava a rifornirle e perchè impossibilitato a ricevere ulteriori rinforzi visto che la maggior parte delle truppe a disposizione del Cremlino si era esaurita nell’offensiva di primavera.

Intendiamoci, nessuno qui vuole negare che l’esercito russo abbia dimostrato in questi mesi di avere intrinseci malfunzionamenti e problemi, né si vuole negare che l’esercito ucraino abbia stupito il mondo per la sua capacità e la sua volontà di combattere; però il disastro iniziale delle truppe russe, legato ad una pianificazione completamente sbagliata, e le successive difficoltà del Cremlino a comprendere fino in fondo i propri errori di valutazione, hanno giocato un ruolo molto significativo nell’andamento bellico, e questo aspetto non è stato sufficientemente messo in luce da chi osservava l’evolversi del conflitto.

Dopo i contrattacchi di Kyiv dell’autunno 2022, che hanno strappato alla Russia più del 50% delle terre conquistate all’inizio della guerra, un poco meditato ottimismo ha iniziato ad inquinare lo spazio informativo sull’Ucraina. Si è sviluppata una aneddotica sui malfunzionamenti e gli orrori dell’esercito della Federazione che ha finito per sembrare la descrizione generale di un esercito allo sbando, mancante di tutto ed incapace a tutto. In questo senso va l’esempio di un quotidiano a larga diffusione che ad un certo punto dedicò un’intera pagina ai russi mobilitati che attaccavano armati di zappe. Peggio ancora, questo improvvido ottimismo ha contagiato anche alcuni istituti di analisi dai nomi prestigiosi, i cui studiosi hanno iniziato a scambiare i propri desideri con la realtà. Mentre tutto questo accadeva le truppe del Cremlino passavano ad una postura difensiva, iniziando a fortificare le aree rimaste nelle loro mani, schierandosi su di un fronte ora più ristretto, e quindi più sostenibile e poco soggetto ad essere colpito a sorpresa. Contemporaneamente, la mobilitazione di 300.000 riservisti nell’autunno del 2022, per quanto caotica e in molti casi drammatica, ridava linfa all’esercito invasore, ora in grado di far fronte alle esigenze belliche con un numero adeguato di truppe.
Per la fine della primavera del 2023 i russi avevano costruito un notevole sistema difensivo statico, sul quale si sono attestati ordinatamente e, alla prova dei fatti, in numero sufficiente. Contro questo schieramento difensivo l’offensiva ucraina è andata a schiantarsi. Con il fallimento dell’offensiva ucraina d’estate il fronte si è stabilizzato e si è passati da una guerra di manovra ad una guerra di posizione; ed è ragionevole pensare che una guerra di posizione avvantaggerà la Russia nel corso del tempo.

La Russia che non conoscevamo

La Russia ha perso tra i 250.000 ed i 300.000 uomini nel giro di 22 mesi, qualsiasi nazione occidentale non sarebbe stata in grado di sopportare un tale tributo di vittime per una guerra che non mettesse in discussione l’esistenza stessa della propria nazione, (e non è certo questo il caso della Federazione Russa: al netto della propaganda, i russi sanno che, comunque la guerra vada, Mosca e Leningrado non rischiano di essere occupate da chicchessia). Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Ucraino, Generale Zaluzhnyi”, lo aveva predetto nell’autunno del 2022: “Lo Zar gli dirà di andare a combattere e loro ci andranno”. E’ accaduto. La vita umana in Russia ha un valore diverso che nel resto del mondo occidentale; la società russa ha nel complesso accettato la perdita dei propri figli, fratelli, mariti, fidanzati senza sgretolarsi, senza reagire.

In una guerra ad alta intensità e di lunga durata – dove le masse di uomini diventano un fattore determinante – la possibilità di gettare in pasto alla morte migliaia di uomini senza battere ciglio è un punto a favore del Cremlino. Non solo: la Russia, ormai da un anno, ha continuato a combattere senza più dover fare mobilitazioni obbligatorie ed è comunque riuscita a mantenere un numero sufficiente di truppe al fronte; questo sta a significare che il reclutamento volontario tra la sua popolazione ha funzionato. Ci sono molti cittadini della Federazione disposti a morire per la Russia e per Putin, o quantomeno a rischiare la morte pur di avere un guadagno in denaro che altrimenti non saprebbero come procurarsi.

Le ipotesi su possibili fratture interne tra le classi dominanti del Cremlino sono anch’esse da archiviare. Putin è rimasto in questi 22 mesi un leader stabile e non sono apparsi sulla scena sfidanti degni di questo nome. Troppo si è favoleggiato a suo tempo su un “Putin più debole” dopo la rivolta dei mercenari del Gruppo Wagner; non era già allora difficile comprendere che Putin aveva saputo far fronte all’emergenza in modo ottimale. Di fronte ha un Prighozin in caduta libera nel gradimento pubblico – sotto qualsiasi cielo ed in qualsiasi regime chi attacca il proprio quartier generale mentre c’è una guerra in corso viene esecrato dai più – Putin ha subito trattato, evitando così il bagno di sangue interno; ha disarticolato la presenza armata degli oppositori ed una volta isolati i capi dalle truppe li ha liquidati. A quel punto, senza Prigozhin e Utkin, il Gruppo Wagner non era altro che una soldataglia sbandata; in parte recuperabile ed in parte da liquidare. Dalla crisi della “Marcia su Mosca” di Prigozhin Putin è uscito rafforzato, non indebolito.
Le sanzioni occidentali hanno fatto male a Mosca ma non quanto si prevedeva. Cina ed India sono diventate la rete di sicurezza della Russia; la circolazione delle merci ha trovato molte strade per giungere nel territorio di un Paese che per tutti i decenni del periodo sovietico ha sviluppato una grande esperienza nell’antica arte del contrabbando. Sul versante della guerra commerciale restano da fare progressi enormi se si vuole indebolire il sistema industriale della Federazione.

Putin non è isolato nel mondo

Non devono ingannare le risoluzioni di condanna passate a larga maggioranza all’assemblea dell’ONU; in realtà esiste una folta schiera di Paesi disallineati che si sono rifiutati di applicare le sanzioni nei confronti del Cremlino, che le applicano a metà, o che fingono di applicarle. La Russia ha rispolverato la sua vocazione terzomondista e sta ottenendo un certo successo nel raggruppare intorno a sé tutti quei Paesi che vedono gli Stati Uniti come un ostacolo al proprio sviluppo o sui quali il retaggio coloniale dell’Occidente ha comunque lasciato ferite difficili a rimarginarsi; ancora più concretamente assistiamo al fatto che Iran e Corea del Nord sono diventati l’arsenale di riserva dell’Esercito della Federazione, lo fanno nella speranza che il Cremlino contraccambi il favore fornendo loro le conoscenze e le tecnologie per implementare le proprie capacità belliche, convenzionali e non. A questo proposito: se è vero che questi 22 mesi di guerra hanno duramente degradato le scorte di armi russe è altrettanto vero che il Cremlino ha saputo reagire aumentando l’efficacia e l’efficienza del suo sistema militare-industriale; il bilancio statale russo per il 2024 prevede un budget per la difesa con cifre da capogiro, la Russia è ormai nell’ottica di stabilire un’economia di guerra adatta ad un conflitto prolungato.

L’incognita occidentale

I conflitti di lunga durata tra eserciti campali vengono normalmente decisi da chi risulta vincitore nella battaglia tra i sistemi militari-industriali delle nazioni in lotta; ma chi studia le guerre sa che a determinarne l’esito esistono, oltre ai fattori materiali, anche fattori immateriali. Uno dei fattori immateriali determinanti in una guerra è la volontà di vittoria che i belligeranti riescono a mettere in campo. In questo momento cruciale del conflitto, i Paesi che sostengono l’Ucraina dovrebbero riuscire ad esprimere una grande volontà di rovesciare le sorti di questa guerra; prima di tutto cercando di convincere le proprie opinioni pubbliche sulla necessità di fare sacrifici economici per una causa che non è soltanto giusta – sia in astratto che in termini giuridici – ma necessaria al fine di evitare ben peggiori difficoltà domani. Questa necessità è visibile soltanto se si ha una visione di lunga durata del confronto che oppone oggi i Paesi democratici che appoggiano l’Ucraina alla Russia di Putin; non è facile promuovere questa visione in società in cui il benessere immediato, le elezioni costantemente dietro l’angolo, la tirannia dell’equilibrio dare/avere, il pensare la guerra come una cosa che riguarda sempre “gli altri”, sono il tratto dominante. Sta alle élite dei Paesi democratici affrontare questo duro compito, la speranza è che siano culturalmente attrezzate per portarlo a termine.

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