La frattura tra Joe Biden ed Israele

Nel corso di un intervista con la CNN avvenuta pochi giorni fa, il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha dichiarato che potrebbe bloccare le forniture di armi offensive ad Israele nel caso lo Stato Ebraico decidesse di invadere Rafah, la città nel sud della Striscia di Gaza su cui ancora permane il controllo di Hamas. Questa brusca dichiarazione arriva dopo mesi di diatribe tra l’Amministrazione americana ed Israele, e dopo che – a titolo di avvertimento – una fornitura di bombe per l’Esercito Israeliano era già stata bloccata. Biden lamenta un problema umanitario: è contrario all’invasione di Rafah perché questa causerebbe una catastrofe tra il milione di sfollati che dovrebbero abbandonare l’insediamento.

Molti analisti pensano che al di là della questione umanitaria ci siano altre preoccupazioni che portano Biden a frenare l’iniziativa israeliana. Alcuni commentatori individuano nella politica interna statunitense la causa dell’atteggiamento della Casa Bianca: le pressioni su Biden dell’ala sinistra del Partito Democratico, la paura di perdere il voto giovanile, il rischio che l’elettorato di religione islamica possa scegliere l’astensione alle presidenziali di novembre, e particolarmente in alcuni Stati chiave per la determinazione del risultato finale come il Michigan. Altri analisti privilegiano una motivazione legata alle relazioni internazionali. Gli Stati Uniti hanno in progetto la creazione di un’alleanza arabo-israeliana in funzione anti-iraniana, il cui perno sarebbe un patto tra Israele e l’Arabia Saudita modellato sulla falsariga degli “Accordi di Abramo”, che Israele ha stipulato con gli Emirati Arabi Uniti ed altri Paesi arabi negli anni scorsi. Ma questo progetto statunitense può essere portato avanti soltanto se la guerra nella Striscia di Gaza si ferma e se emerge una volontà israeliana di iniziare un percorso verso la creazione di uno Stato Palestinese. Insomma, secondo questa ipotesi, per Biden Israele dovrebbe oggi scegliere tra la conquista di Rafah o l’alleanza con i Sauditi.

Indipendentemente dalle indagini sul retropensiero che spinge l’Amministrazione Biden ad allontanarsi dalle necessità israeliane possiamo forse determinare, per senso comune, alcune ricadute che le dichiarazioni di Biden avranno sulla situazione nella Striscia. La prima ricaduta è il rafforzamento dei nemici di Israele. Se la tattica fin qui seguita da Hamas e dall’Iran ha portato all’indubbio successo di creare una divaricazione tra Israele e il suo storico alleato, gli Stati Uniti, questo non potrà che portare i nemici dello Stato Ebraico ad insistere nell’atteggiamento che hanno tenuto fino ad ora, un atteggiamento volto unicamente a guadagnare tempo, sperando intanto di squalificare Israele ed isolarlo dal resto del mondo. Tra l’altro ciò significherebbe mettere una pietra tombale sulla possibilità di liberazione degli ostaggi: se Hamas non rischia di vedere attaccati i suoi centri di comando a Rafah, allora non ha alcun interesse a stipulare scambi di prigionieri in cambio di una tregua.

C’è poi un altro elemento, strettamente militare, di cui tenere conto: le bombe che Biden minaccia di non inviare più ad Israele servono come il pane al suo esercito; la cessazione di queste forniture non sarebbe un gesto simbolico ma una mossa sostanziale, di cui Hezbollah potrebbe approfittare intensificando la sua azione sul fronte nord. Sulla questione strettamente “umanitaria” che ha portato Biden a chiedere ad Israele di non invadere Rafah, in questi giorni è stata espressa da parte israeliana una semplice obiezione: se si stabilisce che un’organizzazione terroristica possa salvarsi riparandosi dietro a degli scudi umani, allora dobbiamo aspettarci che in futuro tutte le organizzazioni terroristiche lo faranno. Questa logica, semplice e ferrea, ha guidato a suo tempo la Coalizione Internazionale durante l’abbattimento del Califfato dell’ISIS in Siria ed in Iraq. Le immagini delle distruzioni dell’aviazione e dell’artiglieria – anche e soprattutto americana – a Mosul sono reperibili sul web; non vi si troverà alcuna differenza con quelle che riceviamo dalla Striscia di Gaza. A Mosul le vittime civili furono stimate in un rapporto di tre civili uccisi per ogni miliziano ISIS abbattuto. (Secondo le stime pubblicate dall’ONU il 6 maggio scorso, a Gaza il rapporto civili-miliziani uccisi è molto vicino ad un rapporto oscillante tra uno a uno e 1,5 a uno). Per quanto riguarda il futuro dei rapporti tra Israele e Stati Uniti dopo le dichiarazioni di Biden alla CNN, ci si passi un paragone storico: alla vigilia della Guerra dei Sei Giorni il Presidente americano Lyndon Johnson disse al Ministro degli Esteri israeliano, Abba Eban: “Israele non sarà solo a meno che non voglia andare da solo”. In quel frangente Israele “andò da solo”.

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