Una dichiarazione partita da Mosca ha cercato di imporsi come verità giudiziaria: secondo il Ministero degli Esteri russo, la Corte Internazionale di Giustizia avrebbe accolto le contro-accuse di genocidio presentate dalla Federazione contro l’Ucraina. L’annuncio, diffuso il 5 dicembre scorso, ha assunto toni perentori, come se si trattasse di un punto fermo nel processo. Eppure, fuori dai confini russi, la notizia non trova eco. Le agenzie internazionali tacciono, i documenti ufficiali della Corte non compaiono, le conferme non arrivano. Resta solo una voce isolata, che tenta di riempire un vuoto ancora tutto da chiarire.
Secondo Mosca, la Corte avrebbe respinto “tutte le obiezioni” dell’Ucraina e accettato “nella loro interezza” le contro-accuse russe di genocidio. L’annuncio, pubblicato sul sito del Ministero degli Esteri russo e rilanciato dall’agenzia statale TASS, è rimbalzato rapidamente anche in Italia, attraverso Agenparl, che ne ha riproposto la versione tradotta senza alcun intervento giornalistico. Una notizia potente, capace — almeno sulla carta — di ribaltare la percezione stessa della guerra iniziata nel 2022.
Ma ogni volta che un’affermazione pretende di cambiare il corso della storia, vale la pena fermarsi e guardare indietro, là dove tutto è iniziato.
La controversia fra Russia e Ucraina davanti alla Corte Internazionale di Giustizia nasce il 26 febbraio 2022. Quel giorno, mentre l’Europa guardava le immagini dei carri armati russi attraversare il confine, l’Ucraina depositava a L’Aia una denuncia formale, sostenendo che Mosca avesse abusato della Convenzione ONU del 1948 sul genocidio per giustificare l’invasione. La scheda ufficiale del caso, pubblicata sul sito della CIJ (Cour Internationale de Justice), racconta l’origine del contenzioso: Kiev afferma di non aver commesso alcun genocidio dei russofona nel Donbass e accusa Mosca di aver costruito un pretesto giuridico. Il 16 marzo 2022 la Corte ordina alla Russia di sospendere immediatamente le operazioni militari, come risulta dall’ordinanza sulle misure provvisorie. È un ordine netto, ignorato sul campo. Nel febbraio 2024, con la decisione sulle eccezioni preliminari — anch’essa disponibile sul sito della Corte — i giudici chiariscono che la Convenzione sul genocidio non permette di valutare la legalità dell’intera invasione, ma consente di esaminare se vi sia stata manipolazione dell’accusa di genocidio e se le parti abbiano rispettato i propri obblighi internazionali. L’European Journal of International Law definisce questa decisione una “vittoria mista”: un restringimento del campo per l’Ucraina, ma non un’assoluzione della Russia.
Da allora il caso ha continuato a scorrere, quasi come un fiume sotterraneo, senza mai arrivare alla piena luce del giudizio finale. Il 18 novembre 2024 la Russia deposita alla CIJ una contro-memoria mastodontica: oltre diecimila pagine di materiali, più di trecento testimoni, centinaia di episodi che Mosca definisce “crimini contro i civili del Donbass”. Il Ministero degli Esteri russo ne racconta i contenuti sul proprio sito, con toni che intendono enfatizzarne la gravità. Ma la Corte, fedele alla sua compostezza, si limita a prenderne atto.
Il 31 gennaio 2025 pubblica un comunicato dal titolo “Contro-pretese presentate dalla Federazione Russa” (trad.a.): poche righe misurate, che confermano la ricezione delle contro-pretese e fissano un calendario procedurale. La Corte non attribuisce responsabilità, non valuta la fondatezza delle accuse, non emette pareri morali. Semplicemente, stabilisce l’iter che ogni contro-pretesa deve affrontare prima di essere dichiarata ammissibile o respinta. È un passo tecnico, ma indispensabile.
Ed eccoci così al 5 dicembre scorso, quando il Ministero degli Esteri russo diffonde la dichiarazione secondo cui la Corte avrebbe respinto tutte le obiezioni ucraine e accettato completamente le richieste di Mosca. Una versione dei fatti che, in poche ore, si trasforma in “verità” su alcuni portali e canali di comunicazione.
Eppure basta allargare lo sguardo per vedere cosa manca: le agenzie internazionali – Reuters, Associated Press, ANSA – non riportano alcuna decisione della Corte corrispondente a quella descritta da Mosca. E nei casi in cui la CIJ emette ordinanze rilevanti, l’eco mediatica è sempre immediata. Stavolta, invece, il silenzio è totale.
A complicare il quadro c’è un dettaglio tecnico: il documento della Corte datato 5 dicembre non risulta ancora consultabile sul sito ufficiale. Ma l’assenza del documento non si traduce automaticamente nell’esattezza della versione russa. Anzi: proprio la mancanza di conferme indipendenti suggerisce prudenza.
Ciò che possiamo affermare con certezza, basandoci su tutte le fonti ufficiali disponibili, è che la Corte non ha stabilito alcuna responsabilità di merito né dell’Ucraina né della Russia. Non ha dichiarato fondate le accuse contenute nelle diecimila pagine del dossier russo. Non si è “schierata” con alcuna delle due parti. Ha semplicemente proseguito un percorso processuale che dura ormai da quasi quattro anni, in cui la precisione procedurale conta più della velocità del dibattito pubblico.
È proprio in questa distanza – fra la lentezza del diritto e la velocità della narrazione politica – che si crea lo spazio per racconti più suggestivi. Ma la storia vera, quella che si muove fra gli archivi della Corte e le sue decisioni ufficiali, segue un ritmo diverso. Per conoscerla bisogna accettare di camminare con essa, senza correre avanti.
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