Israele “ha superato il limite”: la svolta prudente di Meloni

Condanna la strage di civili, annuncia sanzioni UE, ma continua a frenare sullo Stato palestinese

Giorgia Meloni

Ci è voluto tempo, tanto tempo. Ma alla fine anche Giorgia Meloni, premier italiana solitamente allineata alla retorica atlantista e cauta nell’esprimere critiche ai partner occidentali, ha pronunciato un discorso che segna una svolta: Israele, ha detto dall’aula dell’ONU, «ha superato il limite». Parole nette, inusuali, persino dure per la leader di Fratelli d’Italia, che finora aveva accuratamente evitato di mettere in discussione l’operato del Governo Netanyahu, nonostante i dati sulle vittime civili palestinesi avessero da mesi oltrepassato la soglia dell’orrore.

La guerra senza proporzioni

Il discorso newyorkese della premier, definito dai quotidiani italiani «il più duro mai pronunciato da Meloni su Israele», fotografa una realtà che non può più essere taciuta: la reazione israeliana agli attentati di Hamas dell’ottobre 2023, inizialmente presentata come difesa legittima, si è trasformata in una guerra senza proporzioni, una macchina di morte che ha già travolto oltre 60 mila civili, tra cui ventimila bambini. Non bastano più i distinguo, le formule di circostanza o i richiami al “diritto alla difesa”. È evidente che lo Stato ebraico, guidato da un esecutivo intriso di estremismo, ha scelto la strada della forza cieca, mettendo in secondo piano i principi di proporzionalità e umanità sanciti dal diritto internazionale.

Le mezze misure italiane

Meloni, finalmente, lo ammette. Ma lo fa con quel passo lento e calcolato che sembra dettato più dal timore di spaccare il consenso interno che da una reale consapevolezza politica. L’Italia annuncia di voler adottare parte delle sanzioni proposte dalla Commissione europea contro Israele, ma senza assumere la posizione netta della Spagna o di altri Paesi che già hanno riconosciuto lo Stato palestinese. Roma resta a metà strada: condanna la “strage inaccettabile” di civili e invoca la soluzione dei due Stati, ma esclude il riconoscimento immediato della Palestina, subordinandolo a condizioni difficilmente realizzabili nel breve periodo, come l’esclusione di Hamas dai futuri assetti di governo.

L’equilibrismo della premier

È, in fondo, l’ennesimo esercizio di equilibrismo. Un colpo al cerchio e uno alla botte, come osservano le opposizioni, che accusano la premier di essersi mossa più per necessità politica che per convinzione morale. Eppure, questa presa di posizione resta significativa: per la prima volta, l’Italia ammette che l’alleato israeliano ha oltrepassato la linea rossa. Non è un dettaglio, perché Meloni ha costruito gran parte della sua immagine internazionale sull’affidabilità a prova di scosse nei rapporti con Washington, Bruxelles e Tel Aviv. Ora, invece, si concede un discorso che rompe quel fronte, aprendo una breccia che potrebbe avere conseguenze nei rapporti diplomatici.

Il passo che manca: riconoscere la Palestina

Il punto, però, è che le parole non bastano. Se davvero l’Italia vuole giocare un ruolo credibile nella ricerca della pace, non può limitarsi a rincorrere l’Europa con misure parziali, ma deve assumere una posizione chiara e coerente: riconoscere lo Stato palestinese, come hanno già fatto oltre 140 Paesi nel mondo, sarebbe un segnale politico forte, capace di restituire dignità a un popolo martoriato e di isolare la deriva fondamentalista di Hamas senza legittimare la furia militare di Netanyahu.

Un risveglio tardivo

Meloni ha ragione quando afferma che «Israele deve uscire dalla trappola di questa guerra». Ma a quella trappola ha contribuito proprio la logica delle ambiguità e delle complicità internazionali, che per mesi hanno concesso carta bianca a un governo israeliano sempre più radicale. È positivo che la premier italiana abbia finalmente trovato il coraggio di denunciare ciò che è sotto gli occhi di tutti. Resta però la sensazione che si tratti di un risveglio tardivo, condizionato dal crescere delle proteste in Italia e in Europa e dalla pressione di un’opinione pubblica che non accetta più il silenzio davanti al massacro quotidiano di civili.