Israele cerca di trasferire i civili palestinesi a sud di Gaza

Israele cerca di trasferire i civili palestinesi a sud di Gaza per metterli al riparo ma Hamas e l’Egitto non vogliono, così poi si può incolpare l’IDF

Il 13 ottobre l’esercito israeliano ha chiesto alla popolazione civile del nord di Gaza e Gaza City di spostarsi verso sud, oltre Wadi Gaza (il fiume Gaza), entro 24 ore, in previsione dell’intervento via terra delle forze armate con l’obiettivo di sradicare Hamas dalla Striscia di Gaza.

Israele vuole evitare di causare vittime tra i civili e sta prendendo tutte le possibili misure, inclusa la creazione di zone sicure nel sud della Striscia. Già dalle prime ore della mattinata del 13 ottobre si sono viste code di macchine in fuga verso il sud e forse Hamas non si aspettava questo movimento e così ora gli islamisti minacciano i civili e bloccano le strade per impedire alla popolazione di lasciare la zona.

Per Hamas i civili sono carne da macello, a prescindere che si tratti di israeliani, palestinesi o cittadini di altri Paesi, come è stato ampiamente dimostrato dai fatti.

Questo aspetto è stato evidenziato nel pomeriggio di venerdì 13 ottobre, durante una conferenza stampa, anche dal Segretario di Stato statunitense, Anthony Blinken, in visita in Qatar; ed è proprio a Doha che è ospitato l’ufficio politico di Hamas. Alla domanda di una giornalista al primo ministro del Qatar, Sheikh Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani, se dopo questo orribile attacco le autorità di Doha chiuderanno l’ufficio e chiederanno alla leadership di Hamas di lasciare il Qatar, il Primo Ministro ha risposto che in questo momento quell’ufficio viene utilizzato per comunicare e per cercare di far cessare il conflitto, creare dei corridoi umanitari e far liberare gli ostaggi.

L’impressione è dunque che il Qatar non abbia alcuna intenzione al momento di chiudere l’ufficio del bureau politico di Hamas. Un aspetto che non sorprende visto che sono proprio Qatar e Iran a sostenere Hamas.

Nel frattempo il Ministero degli Esteri egiziano ha fatto sapere di essere contrario al trasferimento verso il sud della Striscia di Gaza dei civili palestinesi in quanto sarebbe una grave violazione delle leggi internazionali sui diritti umani e metterebbe in pericolo gli abitanti di Gaza (non è chiaro in che modo). Il governo egiziano si è poi dichiarato contrario all’apertura di un corridoio umanitario sul confine tra Gaza e il territorio egiziano perché, a suo dire, servirebbe a cacciare i palestinesi da Gaza e riversarli permanentemente in Egitto. Un piano, quello del corridoio umanitario, invece sostenuto dagli Stati Uniti per cercare di proteggere i civili dall’imminente invasione israeliana.

Il confine tra Gaza e l’Egitto è chiuso e il Cairo vede molto male Hamas in quanto ramo palestinese dei Fratelli Musulmani, al bando nel Paese dopo la caduta del governo islamista di Mohamed Morsy nel 2013.

Forse l’esecutivo egiziano crede che tenendo i civili rinchiusi a Gaza, Israele ci ripensi e comunque non possa andare fino in fondo per non rischiare troppi danni collaterali. Forse Abdelfattah al-Sisi teme di essere visto come un amico di Israele e un complice in ciò che, seppur con scopi umanitari, potrebbe essere visto dal fanatismo filo-palestinese come un tentativo di regalare Gaza a Israele.

Oppure magari al-Sisi teme l’infiltrazione, assieme ai civili palestinesi, di terroristi pronti a colpire in territorio egiziano, visto che l’Egitto è bersaglio dei jihadisti da sempre e in particolare da dopo l’arrivo al potere di al-Sisi.

In ogni caso è certamente triste vedere un paese come l’Egitto, presentatosi sotto al-Sisi come baluardo della lotta al jihadismo, prendere le stesse posizioni di Hamas sulla questione dei civili a Gaza. Del resto Il Cairo non può certo permettersi di dare lezioni a Israele sui diritti umani e chi conosce le pratiche delle forze di sicurezza egiziane lo sa bene.

Tornando all’assedio di Gaza, Israele ha ammassato sul confine un numero impressionante di uomini (molti rientrati anche dall’estero), mezzi corazzati, carri armati, artiglieria e molti altri sono in arrivo. Le forze speciali sono già inserite in punti strategici pronte a entrare in azione.

I bombardamenti dal cielo e dal mare continuano; si tratta di una prima fase essenziale per distruggere le infrastrutture dei terroristi di Hamas, il più delle volte nascoste sotto terra, all’interno di edifici civili, ospedali, scuole. La campagna aerea è indispensabile, serve a preparare il terreno per il successivo intervento di terra. Non si può nemmeno escludere che unità di Mistaravim (forze speciali che agiscono camuffate da arabi) siano già dentro la Striscia per cercare di raccogliere informazioni su dove si trovano gli ostaggi. E’ la prima volta che Israele si trova davanti a una situazione di questo tipo: dover liberare un numero impressionante di ostaggi (non soltanto israeliani ma anche cittadini di una trentina di Paesi), plausibilmente nascosti nei tunnel sotterranei e nel contempo dover distruggere e sradicare un’organizzazione terrorista dalla propria roccaforte dove è radicata da quasi vent’anni.

Se il primo scenario richiederebbe un lavoro di intelligence di un certo tipo, operazioni di precisione chirurgica ed effetto sorpresa, il secondo necessita invece un intervento pesante con campagna aerea seguita da invasione di terra che può durare anche mesi (chi si ricorda delle battaglie di Fallujah durante la seconda guerra irachena ha in mente la potenziale situazione).

Come se non bastasse, bisogna anche tenere sotto controllo i confini e il fronte nord dove Hezbollah si è già svegliato. Un incubo per qualsiasi Paese e dunque sarebbe bene riflettere prima di condannare la reazione israeliana.

E poi c’è la questione dei civili palestinesi, quelli che Israele sta cercando di togliere dalle grinfie degli islamisti mentre Hamas ed Egitto non li vogliono messi in salvo verso il sud di Gaza; perché i civili palestinesi sono diventati un’ulteriore arma nelle mani di chi pensa al proprio tornaconto.

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