
Il Piemonte, cuore produttivo del Nord-Ovest italiano, si trova oggi sull’orlo di una crisi strutturale. Non si tratta più di segnali isolati o di oscillazioni cicliche: i numeri parlano chiaro. Secondo l’ultima rilevazione di Unioncamere Piemonte, nel 2024 la regione ha vissuto un evento storico e preoccupante: per la prima volta dal 2020, il numero delle imprese che hanno chiuso i battenti ha superato quello delle nuove aperture.
Il bilancio non è solo negativo: è il sintomo evidente di un’economia che non riesce più a rigenerarsi.
Il saldo produttivo che preoccupa: Piemonte -739 imprese in un anno
Il dato di sintesi – una perdita netta di 739 imprese – potrebbe sembrare contenuto a uno sguardo superficiale. Ma se scomposto e analizzato nel dettaglio, rivela una crisi profonda. Nel solo ultimo trimestre, si contano 4.135 cessazioni a fronte di 4.062 nuove iscrizioni al registro delle imprese. Un differenziale che rappresenta molto più di una semplice cifra: dietro ogni chiusura ci sono famiglie, lavoratori, progetti imprenditoriali andati in fumo.
Commercio e agricoltura in Piemonte: settore produttivo più colpito
A guidare la classifica delle attività in sofferenza è il settore commerciale, che registra 1.365 chiusure. Un dato che conferma il lento ma inesorabile declino dei piccoli negozi e delle medie attività, strette tra la crisi dei consumi e la concorrenza delle grandi piattaforme digitali.
Segue l’agricoltura, con 764 cessazioni, un segnale drammatico per una regione che ha sempre fatto della filiera agroalimentare uno dei suoi pilastri economici. Anche il manifatturiero, con 547 imprese chiuse, mostra crepe profonde, a conferma di una crisi industriale che si protrae da anni senza vere inversioni di tendenza.
Effetto domino: 2000 famiglie spinte nella povertà
L’impatto sociale di questo scenario è devastante. Secondo le ultime stime, oltre 2.000 famiglie piemontesi sono state costrette a rivolgersi alla Caritas per ricevere aiuto. Ex imprenditori, dipendenti rimasti senza impiego, interi nuclei familiari che, da un giorno all’altro, si sono ritrovati a vivere situazioni di emergenza economica.
Una testimonianza rilasciata da un volontario della Caritas è emblematica: “Era meglio un terremoto: almeno poi si ricostruisce. Qui è tutto fermo.” Una frase che restituisce il senso di impotenza che si respira tra chi ha perso tutto.
Costruzioni e immobiliare non trainano più
A rendere ancora più critico il quadro è la frenata anche di settori tradizionalmente più resilienti. Le costruzioni, le attività immobiliari e lo stesso commercio mostrano segnali di stagnazione, mentre i servizi alla persona crescono lievemente, ma non abbastanza da bilanciare le perdite nei comparti produttivi.
Il sistema piemontese sembra incapace di rigenerarsi con slancio: mancano investimenti, fiducia e, soprattutto, una strategia politica di rilancio concreta e tempestiva.
Una sfida che non può più attendere
Il Piemonte sta affrontando una delle sue più gravi crisi economiche e sociali degli ultimi decenni. Una regione che è stata simbolo di eccellenza manifatturiera, agroalimentare e commerciale ora appare bloccata, incapace di adattarsi ai cambiamenti e vulnerabile sotto ogni profilo: occupazionale, produttivo e demografico.
Se non verranno adottate misure urgenti, come incentivi alle startup, sostegni alle PMI e politiche attive per il lavoro, il rischio è un tracollo irreversibile. Le istituzioni locali e nazionali devono prendere atto che non si tratta più di una crisi settoriale, ma di una trasformazione epocale che richiede un cambio di paradigma.
Il tempo sta per scadere
Il 2024 non sarà ricordato solo come l’anno della recessione piemontese. Potrebbe diventare l’anno in cui il Piemonte ha toccato il fondo. Ma ogni crisi può anche essere l’inizio di una rinascita. Solo con coraggio politico, investimenti mirati e sostegno reale alle imprese si potrà invertire la rotta. In caso contrario, il rischio è che il Piemonte diventi un esempio emblematico di come si possa perdere, nel silenzio, il cuore produttivo di un’intera regione.