I ruggiti della storia: da Leone I a Leone XIV

Viaggio tra pontificati e potere: come il nome Leone ha attraversato i secoli, tra diplomazia, guerra e spiritualità

Quando la sera dell’8 maggio 2025 la fumata bianca ha solcato il cielo su Piazza San Pietro, il mondo ha trattenuto il fiato. La voce emozionata del cardinale protodiacono ha annunciato: “Habemus Papam! Leone XIV”. Un nome che ha immediatamente evocato storia, autorità e visione. Per la prima volta, un pontefice americano – il cardinale statunitense Robert Francis Prevost – è stato eletto Vescovo di Roma, e ha scelto un nome che non è neutro: è una dichiarazione.

Nel suo primo messaggio ha parlato di ponti da costruire, di pace e riconciliazione. Ma il nome scelto racconta ancora di più. “Leone” non è solo un simbolo di forza, è un segnale preciso: nella storia della Chiesa è stato portato da figure che hanno affrontato sfide epocali, spesso opponendosi con fermezza a ideologie considerate sovversive. Tra queste, in tempi moderni, il socialismo.

La tradizione dei papi Leone inizia nel V secolo con Leone I, detto “Magno”. Fu lui a definire l’autorità papale su basi teologiche e a scrivere una pagina di storia, fermando Attila senza armi, solo con la forza della parola. Un uomo che difendeva l’ordine naturale della società e della fede, molto prima che si parlasse di ideologie moderne.

Ma è con Leone XIII che il significato del nome diventa ancora più politico. Nel 1891, di fronte alle tensioni sociali esplose con la rivoluzione industriale, pubblica l’enciclica ‘Rerum Novarum’, fondamento della dottrina sociale della Chiesa. Vi condanna esplicitamente il socialismo, accusandolo di voler abolire la proprietà privata e alimentare l’odio di classe, pur riconoscendo le storture del capitalismo. Leone XIII propone una terza via: giustizia, cooperazione tra le classi, solidarietà, ruolo sussidiario dello Stato. Una visione che, sebbene distante dal socialismo marxista, promuove una forma profonda di giustizia sociale.

In questo contesto si inserisce Leone XIV. Missionario in Perù, attento agli emarginati, ha mostrato sensibilità verso migranti, poveri, ultimi. Non ha ancora parlato esplicitamente di socialismo, ma la scelta del nome lascia intuire un riferimento a quell’eredità: costruire ponti sì, ma senza rinunciare alla verità, difendendo la persona dalle ideologie totalizzanti.

Eppure, la domanda si impone: quale Chiesa rappresenterà davvero Leone XIV?

La Chiesa di oggi è un colosso ferito. Non tanto dal relativismo, quanto dalla sua stessa incoerenza. Predica amore, ma condanna l’amore omosessuale; parla di accoglienza, ma chiude le porte a chi non si conforma; invoca trasparenza, ma gestisce miliardi con logiche medievali. Si può parlare di giustizia sociale senza affrontare queste contraddizioni?

Leone XIV potrebbe essere l’uomo del cambiamento. Potrebbe aprire davvero alle famiglie arcobaleno, ai laici, ai divorziati, alle donne escluse. Ma nulla, finora, lo lascia presagire. Rischia di essere solo un nuovo volto per lo stesso sistema.

Resta il nodo degli abusi. Troppi pontefici si sono fermati a scuse rituali. Leone XIV vorrà davvero collaborare con la giustizia civile o si rifugerà nei “tribunali dell’anima”?

E le donne? Nel 2025, ancora escluse dai vertici decisionali, pur essendo il cuore pulsante delle parrocchie. Senza un riconoscimento concreto, ogni parola sull’uguaglianza sarà solo retorica.

Il mondo brucia: guerre, disuguaglianze, crisi ambientali. La Chiesa condanna, ma non cambia. Leone XIV potrebbe sorprendere, aprire le finestre. Ma dovrebbe smettere di rivestire,  in un certo senso, il ruolo di monarca e iniziare a essere un servo. Non un simbolo, ma una voce credibile.

E infine, la domanda più scomoda: gli sarà davvero concesso di cambiare qualcosa? O finirà, come molti prima di lui, per riflettere una geopolitica ecclesiastica che con la democrazia ha ben poco a che fare?