Il caso che coinvolge Agostino Ghiglia, membro dell’Autorità Garante per la Privacy, rappresenta un banco di prova cruciale per la credibilità delle istituzioni indipendenti in Italia. Quando un organismo nato per tutelare i diritti dei cittadini appare invece piegato a logiche di appartenenza politica, non è solo la fiducia pubblica a vacillare, è l’intero equilibrio democratico a incrinarsi.
La vicenda è nota. Ghiglia, ex esponente di Alleanza Nazionale e nominato nel collegio del Garante con i voti di Fratelli d’Italia, ha diffidato la Rai chiedendo di bloccare la messa in onda di una puntata di Report dedicata proprio a lui. Il programma di Sigfrido Ranucci, uno dei pochi spazi rimasti al giornalismo d’inchiesta, ha ricostruito la sequenza degli eventi che precedono la sanzione da 150mila euro inflitta alla trasmissione. Una sanzione deliberata, e qui sta il nodo, subito dopo un incontro di Ghiglia con Arianna Meloni nella sede del partito di governo.
Se le circostanze fossero confermate, ci troveremmo davanti a un conflitto d’interessi macroscopico. Un garante che discute con esponenti del partito che lo ha nominato, alla vigilia di una decisione che colpisce una trasmissione sgradita a quel medesimo partito, mina alla radice il principio di indipendenza su cui dovrebbe fondarsi l’Autorità. In un paese normale, sarebbe già tempo di dimissioni.
Il tentativo di Ghiglia di impedire la messa in onda del servizio è ancora più inquietante. Non è solo un gesto di autodifesa, è un precedente pericoloso. Quando un membro di un’autorità pubblica usa il proprio ruolo per cercare di silenziare un’inchiesta giornalistica che lo riguarda, il confine tra tutela della privacy e censura si fa sottile, quasi invisibile. È il segnale di una classe dirigente che non tollera più la contraddizione, che considera il controllo dell’informazione un’estensione naturale del potere politico.
Il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico hanno reagito con durezza, chiedendo le dimissioni immediate di Ghiglia. Ma non basta l’indignazione dell’opposizione. Serve una presa di posizione netta anche da parte della società civile, delle associazioni professionali, degli stessi giornalisti. È giunto il momento che la stampa italiana faccia sentire compatta la propria voce, anche attraverso un gesto forte, uno sciopero nazionale dell’informazione, con il ritiro dei cronisti da conferenze stampa istituzionali di rilievo, per ribadire che la libertà di stampa non è negoziabile. Un atto simbolico, come quello che avvenne al Pentagono durante l’amministrazione Trump, quando i giornalisti reagirono uniti alle restrizioni imposte alla loro libertà di porre domande. L’Italia avrebbe oggi bisogno dello stesso coraggio.
Non è un mistero che Report non sia amato da questa maggioranza. Il programma di Ranucci, erede di una tradizione che va da Samarcanda a Blu Notte, continua a dare fastidio perché scava dove altri preferiscono sorvolare. Ma auspicare la sua chiusura, come alcuni fanno apertamente, sarebbe un atto di barbarie democratica. Chi oggi tenta di imbavagliare Report prepara domani il terreno per imbavagliare chiunque osi raccontare la realtà senza filtri.
La libertà di stampa non è un privilegio della sinistra né un bersaglio della destra, è la spina dorsale di ogni democrazia. Se un’autorità di garanzia si trasforma in un braccio operativo del potere politico, allora smette di garantire i cittadini e comincia a garantire se stessa.
Il caso Ghiglia è un campanello d’allarme che non può essere ignorato. Le istituzioni di controllo devono essere indipendenti non solo nei testi di legge, ma nei comportamenti quotidiani di chi le rappresenta. Il silenzio di Arianna Meloni e la difesa d’ufficio di Fratelli d’Italia non aiutano a dissipare i sospetti: li alimentano.
Il giornalismo d’inchiesta è scomodo per definizione. È ciò che distingue la cronaca di regime dall’informazione libera. E se oggi qualcuno sogna di chiudere Report, domani potrebbe voler chiudere la discussione pubblica. In quel momento, sarà troppo tardi per accorgersi che, insieme a una trasmissione televisiva, avremo perso un pezzo della nostra democrazia.
