Gaza, Ucraina: i suggerimenti dell’amministrazione Biden

Per quel che è stato divulgato, pare che l’Amministrazione Biden abbia suggerito ad Israele di non procedere all’invasione di Rafah – l’ultima città della Striscia di Gaza in cui Hamas esercita ancora il controllo politico-militare – suggerendo come alternativa di effettuare operazioni mirate per smantellare questa organizzazione. Ora, tutte le guerre condotte negli ultimi decenni contro un avversario che si era trincerato in un’area urbana densa sono state vinte soltanto dopo l’invasione e la presa di possesso di quel territorio. Le cosiddette “azioni mirate” possono essere efficaci quando colpiscono gruppi terroristici di piccole dimensioni non particolarmente radicati in un ambiente sociale (come è avvenuto a suo tempo per le formazioni della lotta armata italiane nel corso degli anni 70/80) ma non sono in grado di degradare un nemico con strutture militari organizzate che controllano un determinato territorio.

Potrebbe servire ad illustrare questo concetto l’esperienza che gli americani stessi hanno vissuto a Falluja nel 2004. Per sconfiggere gli insorgenti iracheni a Falluja gli Stati Uniti tentarono nell’aprile di quell’anno un operazione mirata: provarono ad isolare la città con una serie di check-point posti sulle strade in uscita da Falluja e gettarono in combattimento la forza di due battaglioni, incaricati di trovare e distruggere gli insorti presenti in città. I due battaglioni furono sconfitti in meno di un mese. Dopo questo smacco l’Esercito degli Stati Uniti, accompagnato da forze inglesi ed irachene, si ripresentò a Falluja nel novembre dello stesso anno, ma questa volta con un’intera divisione, la 1° Divisione Marine. Forte di 15.000 uomini, il nuovo attacco riuscì a conquistare Falluja agli insorti con i classici strumenti della guerra campale; per dare un’idea della portata dei combattimenti valga l’esempio di un bombardamento effettuato nella zona sud della città (il quale, si noti bene, rappresentava soltanto una manovra diversiva) che durò per 12 ore consecutive. A Falluja gli americani questa volta si erano portati 11 milioni di proiettili, e vinsero la battaglia. Inutile dire che a Falluja la consistenza dell’avversario, la popolazione della città, e le strutture difensive degli insorti a erano di dimensioni largamente minori, praticamente imparagonabili, rispetto a ciò che gli israeliani si trovano di fronte a Rafah.

Mentre proiettili russi, iraniani e nord-coreani stanno distruggendo le reti elettriche dell’Ucraina, il Segretario americano alla Difesa, Lloyd Austin, facendo riferimento agli attacchi che gli ucraini stanno portando a loro volta alle strutture energetiche sul suolo russo, ha dichiarato: Certamente questi attacchi potrebbero avere un effetto a catena, in termini di situazione energetica globale. Ma francamente, penso che l’Ucraina si renderebbe un servizio migliore perseguendo obiettivi tattici e operativi che possano influenzare la battaglia attuale”. Questo morbido, ma inequivocabile, suggerimento agli ucraini a non colpire obiettivi energetici sul suolo russo è in contrasto con tutta la storia delle guerre campali. In tutte le guerre i duellanti hanno sempre cercato di colpire il territorio nemico in quelle strutture che alimentano la forza dell’esercito in campo.

Sul Manuale del Diritto di Guerra del Ministero della Difesa degli Stati Uniti d’America, leggiamo: “Le centrali elettriche sono generalmente riconosciute essere di sufficiente importanza per la capacità di uno Stato di sopperire alle proprie necessità in tempo di guerra per quanto riguarda le comunicazioni, i trasporti ed il sistema industriale, e sono tali da essere qualificate come obiettivi militari nel corso dei conflitti armati”. Si ricorda che nel corso del conflitto della coalizione NATO –  a guida statunitense – contro la Serbia, quando Belgrado venne a patti di resa, in città mancavano la luce e l’acqua ed il sistema di comunicazioni era stato distrutto. Ciascun lettore potrà considerare cosa spinge l’Amministrazione Biden a questo – diciamo così – “grande invito alla moderazione” che essa propone ai suoi alleati. Ci permettiamo un’unica annotazione: la “moderazione” può informare la politica estera di una nazione, ma non potrà mai sostituirla.

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