
C’è un termine che la comunità internazionale ha sempre maneggiato con cautela estrema: “genocidio”. Una parola che evoca la Shoah, il Ruanda, la Bosnia, e che non viene mai usata senza profonde conseguenze politiche e morali. Oggi, a distanza di undici mesi dall’inizio della devastante offensiva israeliana contro Gaza, la principale associazione mondiale di studiosi di genocidio ha stabilito che le azioni di Israele soddisfano i criteri legali fissati dalla Convenzione ONU del 1948.
International Association of Genocide Scholars (IAGS)
L’International Association of Genocide Scholars (IAGS), fondata nel 1994 e composta da circa 500 esperti di diritto internazionale, storici e ricercatori, ha votato con l’86% dei consensi una risoluzione netta: le politiche e le azioni di Israele a Gaza configurano un genocidio. A guidare questa dichiarazione è stata la presidente dell’associazione, Melanie O’Brien, professoressa di diritto internazionale all’Università dell’Australia Occidentale, da anni studiosa dei meccanismi giuridici e sociali che portano alla distruzione di un popolo.
La risoluzione non lascia spazio a fraintendimenti. Denuncia l’uccisione deliberata di civili, la fame indotta, la privazione di acqua, carburante e beni essenziali, la distruzione sistematica delle infrastrutture, le violenze sessuali, lo sfollamento forzato di quasi due milioni di persone. E, soprattutto, ricorda che tutto ciò avviene con l’intento, criterio imprescindibile per definire il genocidio, di annientare, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico o religioso.
Una legittima difesa senza proporzioni
Per Israele si tratta di accuse respinte con fermezza. Tel Aviv continua a sostenere che le operazioni militari siano legittime risposte di autodifesa dopo il massacro del 7 ottobre 2023, quando Hamas uccise oltre 1.200 persone e prese in ostaggio più di 250 civili. Ma la proporzione della risposta, oltre 63.000 palestinesi uccisi, interi quartieri cancellati, ospedali resi inagibili, ha superato da tempo i confini della legittima difesa.
Non si tratta soltanto della voce di un’associazione accademica. Già diverse organizzazioni internazionali per i diritti umani, insieme a ONG israeliane, hanno denunciato la natura genocidaria dell’offensiva. Persino centinaia di funzionari delle Nazioni Unite hanno chiesto all’Alto Commissario per i Diritti Umani, Volker Türk, di chiamare le cose con il loro nome: genocidio. La risoluzione della IAGS porta questa valutazione al cuore del dibattito accademico, trasformando quella che molti governi fingono ancora di non vedere in una constatazione ormai mainstream tra gli esperti.
Un ennesimo genocidio
“Questa è una dichiarazione definitiva”, ha detto O’Brien, “da parte di chi studia e insegna da decenni cosa significhi genocidio”. Parole pesanti, che non possono essere liquidate come propaganda politica. Esse provengono da studiosi che hanno riconosciuto, tra gli altri, il genocidio degli armeni, quello dei tutsi in Ruanda, le stragi in Bosnia. Oggi, il loro giudizio converge su Gaza.
Naturalmente, la risoluzione riconosce anche la gravità dei crimini di Hamas, che con l’attacco del 7 ottobre ha compiuto un crimine internazionale. Ma la reazione di Israele ha travalicato ogni limite legale e morale. La Convenzione del 1948, adottata all’indomani della Shoah, non lascia spazio a compromessi: prevenire e fermare il genocidio è un obbligo, non una scelta.
La domanda allora è semplice e brutale: quante altre prove, quante altre fosse comuni, quanti altri bambini denutriti dovranno apparire sotto gli occhi del mondo prima che i governi agiscano? L’IAGS ha fatto il proprio dovere, fornendo una valutazione tecnica, giuridica e morale. Spetta ora alla comunità internazionale trasformare quelle parole in azione.