In una fase in cui Forza Italia rischia di vivere di rendita sulla propria storia, Roberto Occhiuto, attuale presidente della Calabria, si lascia intervistare dal Foglio e prova a fare ciò che in politica è sempre più raro: indicare una strada, anche a costo dell’impopolarità. Non una scorciatoia tattica, ma una direzione culturale e politica che richiama esplicitamente l’eredità migliore del berlusconismo, il liberalismo concreto, non ideologico; la fiducia nell’individuo più che nei corpi intermedi; la libertà come metodo prima ancora che come slogan.
Il punto di partenza è netto, non avere timore di discutere di diritti civili. Non per inseguire l’agenda della sinistra, ma per evitare che un’intera generazione, ragazzi di vent’anni che non si riconoscono né nel progressismo identitario né in un conservatorismo rigido, percepisca il centrodestra come un blocco immobile. Silvio Berlusconi, su questi temi, aveva una linea chiara: libertà di coscienza. Non impose mai una morale di partito, perché sapeva che uno schieramento liberale non teme il pluralismo interno. Occhiuto si colloca esattamente su quella traiettoria, sì alle unioni omosessuali, nessuna preclusione ideologica, apertura a una legge sulla cittadinanza più razionale e moderna. Non bandiere, ma scelte coerenti con una visione liberale dello Stato.
C’è poi la questione, decisiva, del metodo. Occhiuto mette in discussione un vizio strutturale del centrodestra italiano, l’idea che le riforme debbano nascere sotto dettatura delle corporazioni. La metafora del taxi è efficace proprio perché semplice: se riformi il trasporto pubblico ascoltando solo chi guida, e non chi il servizio lo usa, o non riesce a usarlo, stai difendendo un interesse organizzato, non l’interesse generale. È qui che la politica liberale diventa scomoda, quando chiede di rinunciare a qualche voto garantito per liberarne molti di più, oggi intrappolati in un sistema inefficiente, opaco, ostile a chi fa impresa e a chi vorrebbe semplicemente competere.
Rinunciare ai voti delle corporazioni non è un gesto moralistico, ma una scelta strategica. Significa puntare su chi oggi non vota perché non vede un’offerta riformista credibile. Significa accettare che semplificare, davvero, produca resistenze, conflitti, accuse di “freddezza sociale”. Ma senza semplificazione non c’è crescita, e senza crescita non c’è consenso duraturo.
Sul piano internazionale, Occhiuto rivendica un altro discrimine fondamentale, il rifiuto di appiattire il centrodestra europeo sulla destra trumpiana. Distinguere Trump dagli Stati Uniti non è un esercizio retorico, ma un atto di responsabilità politica. Gli Usa restano un pilastro della democrazia occidentale; il trumpismo è una cultura politica diversa, centrata sugli interessi interni e su una leadership personalistica. Forza Italia, per storia e collocazione europea, non può né deve coincidere con quella fisionomia. Anche qui, la scelta è identitaria: europeismo, Ppe, autonomia culturale della destra liberale.
È in questo quadro che l’ipotesi di Occhiuto come futuro segretario di Forza Italia acquista senso politico. Non come soluzione salvifica, ma come occasione di chiarimento. Continuare Berlusconi innovandolo, non imbalsamandolo. Accettare il rischio dell’impopolarità per costruire un sistema più semplice, più aperto, più competitivo. Se non ora, quando.
