Non si era ancora spenta l’eco delle stragi perpetrate da Hamas il 7 ottobre 2023 che subito la diplomazia americana rispolverava il vecchio progetto “due popoli due stati”. All’interno di questa versione aggiornata del progetto trova oggi spazio un’allocuzione assai generica: alla creazione di un futuro di pace in Palestina dovrebbe partecipare una Autorità Nazionale Palestinese “rivitalizzata”. Sebbene questo aggettivo: “rivitalizzata” – che a volte viene sostituito con “rinnovata” – sia rimbalzato tra le dichiarazioni di molti esponenti della politica statunitense ed europea, e anche negli articoli di molti analisti, nessuno si è peritato di spiegare in che cosa consista questa “rivitalizzazione”. Solitamente, quando nel linguaggio della diplomazia emerge una formula tanto generica da risultare oscura, questo significa che qualcuno, in stanze appartate, ha parlato con qualcun altro e forse ha preso accordi.
Sarà stata una combinazione ma, poco dopo che il coro internazionale ha iniziato a parlare di un Autorità Nazionale Palestinese “rivitalizzata”, il Presidente dell’ANP ha “accettato le dimissioni” del Primo Ministro in carica, Mohammad Shtayyeh, ed ora lo ha sostituito con la nomina di Mohammad Mustafa, un economista di 69 anni, formalmente indipendente da qualsiasi partito palestinese ma in realtà uomo di fiducia del Presidente Abu Mazen da molto tempo. A questo punto le fazioni palestinesi di Hamas, Jihad Islamica, Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e Iniziativa Nazionale Palestinese hanno emesso un comunicato congiunto che accusa il Presidente dell’ANP di aver preso “una decisione individuale” all’interno di “una politica di esclusività” che rappresenta “un approfondimento della divisione in un momento storico cruciale”. Il comunicato ha affermato che questa decisione evidenzia “un enorme divario tra l’Autorità Palestinese e le aspirazioni del popolo” ed ha chiesto quindi che le decisioni sul futuro governo dei palestinesi vengano prese collegialmente dalle varie fazioni, le quali dovrebbero creare una leadership unificata. Il comunicato si è chiuso con la richiesta di elezioni libere e democratiche in Palestina.
A questo punto il partito di Abu Mazen, Fatah – che poi è il partito che comanda in Cisgiordania e che, tramite Mazen, comanda l’ANP – ha emesso un furioso comunicato, il quale inizia con una domanda retorica: “Hamas ha consultato le leadership palestinese o qualche partito nazionale palestinese quando ha preso la decisione di portare a termine l’“avventura” del 7 ottobre scorso che ha portato ad una catastrofe più terribile, più orribile e più crudele della Nakba del 1948?” (“nakba” significa “catastrofe”. Il riferimento è allo sfollamento di circa 700.000 palestinesi in seguito alla sconfitta della coalizione araba nella guerra contro Israele del 1948). Fatah ha poi definito le azioni di Hamas “falsi programmi che non hanno portato che guai al popolo palestinese e non hanno ottenuto nulla per lui. A questo punto Fatah è tornata ad una ferita mai sanata con Hamas, lo ha fatto con una seconda domanda retorica: “Hamas ha mai consultato qualcuno quando ha effettuato il suo colpo di stato nero contro la legittimità nazionale palestinese nel 2007?” (Il riferimento è a quando Hamas scaccio a colpi di mitra Fatah dalla Striscia di Gaza, uccidendo molti suoi militanti).
Sul distacco dalla realtà Fatah ha poi reso pan per focaccia: “Sembra che la vita confortevole che questa leadership vive negli hotel a sette stelle l’abbia accecata da ciò che è giusto”. (Il riferimento è ai leader di Hamas che vivono negli hotel del Qatar).
Come se non bastasse il comunicato continua denunciando il fatto che “Hamas sta ora negoziando con Israele e offrendogli concessioni su concessioni, che non hanno altro scopo se non quello di garantire la sicurezza personale per la sua leadership”.
Ma l’asso di bastoni Fatah lo mette in tavola con una terza domanda retorica: “Hamas forse preferirebbe che nominassimo un Primo Ministro iraniano, o lasciassimo che Teheran nominasse un primo ministro per i palestinesi?”. Dire ad un islamista sunnita (tali sono i militanti di Hamas) che è una pedina al soldo di un Paese scita (l’Iran) non significa solo denunciarlo come traditore della Patria ma anche offenderlo mortalmente nelle proprie convinzioni religiose.
Nei giorni immediatamente successivi alle stragi di Hamas del 7 ottobre diversi esponenti di Fatah avevano fatto dichiarazioni in cui si prevedeva l’entrata di Hamas nella futura Autorità Nazionale Palestinese del dopo-Gaza; si direbbe che questo comunicato ponga una pietra tombale su queste posizioni politiche. Si chiude anche la strada ad un esponente palestinese che pare essere molto popolare e rappresentativo, quel Marwan Barghouti che si era proposto, già da anni, come l’uomo della riconciliazione tra le fazioni.
Fatah – che poi vuol dire ANP – va per la sua strada, sancisce la rottura con Hamas come definitiva e con questa dichiarazione si autocandida a governare Gaza a fine guerra. Cosa pensi di tutto questo il cosiddetto “popolo palestinese” non è dato saperlo, i palestinesi da 17 anni non possono esprimere le loro opinioni tramite un voto e le decisioni sul loro futuro vengono prese da due oligarchie contrapposte, una collocata nei confortevoli alloggi di Ramallah, l’altra nei lussuosi hotel di Doha. Un’unica notazione: se Fatah, a cinque mesi e mezzo dal giorno delle stragi, rompe infine gli indugi ed attacca Hamas frontalmente, è perché ora la considera debole.
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