
La vicenda della Global Sumud Flotilla, la missione navale di attivisti che tenta di rompere simbolicamente il blocco di Gaza portando aiuti umanitari, sta diventando un banco di prova per l’Europa. Non tanto per la sua capacità di incidere sulla realtà materiale della Striscia, gli aiuti potrebbero forse arrivare anche attraverso porti terzi, come propone Israele, ma per la credibilità morale e politica delle capitali europee di fronte a una tragedia che molti osservatori qualificano ormai come genocidio in atto.
Madrid in prima linea
Le reazioni europee sono state divergenti, quando non contraddittorie. La Spagna ha scelto la via più chiara: dispiegare un’imbarcazione di supporto, ufficialmente con funzioni di soccorso, ma di fatto per dare un segnale di protezione civile e politica alla Flotilla. Madrid, insieme ad altri 15 Paesi, ha firmato un appello congiunto che chiede di rispettare il diritto internazionale e di evitare qualsiasi attacco contro i volontari. È un gesto che, pur nei suoi limiti, mette in campo una postura politica: si sta dalla parte di chi prova a difendere la dignità umana.
Berlino e Parigi: la prudenza che non pesa
La Germania e la Francia, al contrario, hanno scelto la prudenza diplomatica. Berlino richiama Israele a non usare la forza e ribadisce il primato delle norme marittime, ma senza impegni concreti. Parigi condanna a parole possibili aggressioni, ma preferisce muoversi nel solco di Bruxelles, senza sbilanciarsi operativamente. È la classica postura di chi non vuole inimicarsi nessuno, pur sapendo che l’asimmetria dei rapporti di forza rende i richiami verbali quasi irrilevanti.
Italia: la resa della Flotilla
E qui entra in gioco l’Italia, il caso più emblematico di un’Europa che abdica al suo ruolo. Roma, dopo aver inizialmente affiancato con la fregata Alpino la Flotilla, ha scelto di interrompere la missione, ritirandosi a distanza di sicurezza. Giorgia Meloni ha lanciato un appello agli attivisti perché si fermino, accusandoli di voler innescare tensioni e di ostacolare percorsi diplomatici. Il governo propone soluzioni logistiche alternative, lo sbarco a Cipro, prontamente respinte dagli organizzatori, che rivendicano la natura simbolica e politica della loro sfida al blocco.
Questa scelta italiana è rivelatrice: il nostro esecutivo non rivolge la propria pressione all’autore del blocco e delle violenze in mare, Israele, ma a chi tenta di testimoniarne l’ingiustizia. È un rovesciamento logico e politico: invece di denunciare gli attacchi con droni e le manovre navali che hanno già colpito la Flotilla, si sceglie di trattare come problema principale l’azione di chi denuncia un crimine in corso. L’Italia si schiera così non con le vittime, né con chi ne reclama la difesa, ma con la narrazione israeliana della sicurezza come pretesto per l’assedio.
Bruxelles: formule senza coraggio
Le istituzioni europee, dal canto loro, restano intrappolate in un linguaggio di compromesso: la Commissione dichiara “inaccettabile” un eventuale uso della forza contro la Flotilla, mentre il Parlamento europeo interroga Bruxelles sulla protezione dei cittadini europei coinvolti. Ma a mancare è una volontà politica capace di trasformare queste formule in pressione diplomatica reale.
Il ruolo dei media internazionali
Nel frattempo, i media internazionali trattano la vicenda come merita: come un episodio simbolico che mette a nudo la sproporzione tra l’enormità della tragedia di Gaza e la timidezza europea. BBC, Le Monde, The Guardian, Al Jazeera sottolineano i rischi, documentano gli attacchi, denunciano la violenza di un blocco navale che non fa distinzione tra combattenti e civili. In Italia, invece, prevale la voce del governo, mentre il contesto internazionale resta sullo sfondo.
Una chiamata alle coscienze della Flotilla
La Flotilla non cambierà da sola la sorte di Gaza, ma rappresenta una chiamata alle coscienze. Ed è su questo terreno che i governi europei si misurano. O si sceglie di proteggere chi difende la vita e il diritto umanitario, o si accetta di essere complici silenziosi di chi, in nome della sicurezza, perpetua una punizione collettiva che ha già assunto i tratti di una catastrofe storica.
L’Europa, ancora una volta, sembra incapace di scegliere. E l’Italia, invece di alzare la voce contro i massacri, preferisce alzare un dito contro gli attivisti.