
Nel panorama della diplomazia internazionale, dominato da ambiguità verbali, appelli generici alla pace e dichiarazioni di principio senza conseguenze, Emmanuel Macron ha compiuto un gesto destinato a fare storia. Il presidente francese ha annunciato che, a settembre, davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la Francia riconoscerà ufficialmente lo Stato di Palestina. Sarà il primo Paese del G7 a farlo. In un’Europa che per decenni ha professato il mantra dei “due popoli, due Stati” senza mai dare sostanza politica alle proprie parole, la mossa di Macron rappresenta un cambio di paradigma.
Si tratta di una scelta coraggiosa. Non solo per il valore simbolico che porta con sé, ma perché arriva in un momento in cui la guerra a Gaza ha raggiunto livelli di devastazione inaccettabili e la comunità internazionale continua a oscillare tra la retorica umanitaria e la paralisi diplomatica. La Francia, con questa decisione, smette di essere spettatrice e si assume una responsabilità storica: fornire uno strumento politico concreto a una delle crisi più laceranti del nostro tempo.
La reazione furiosa di Israele non si è fatta attendere. Il ministro della Difesa israeliano ha parlato di “resa al terrorismo”, mentre il primo ministro Netanyahu ha evocato il rischio esistenziale per Israele e accusato Macron di premiare Hamas. Gli Stati Uniti, attraverso il segretario di Stato Marco Rubio, hanno definito la decisione francese “uno schiaffo in faccia alle vittime del 7 ottobre”. Accuse gravi, cariche di emotività e retorica bellica, che però non scalfiscono il nocciolo politico della scelta francese: Macron non sta premiando il terrorismo, sta cercando di togliere a Hamas l’esclusiva della rappresentanza palestinese, riconoscendo al contrario l’esigenza di uno Stato legittimo, riconosciuto e sovrano come interlocutore per la pace.
Nel silenzio o nell’esitazione delle altre grandi democrazie europee, con Germania e Regno Unito che si limitano a vaghe promesse future legate a “condizioni da definire”, la Francia rompe un tabù e riporta la questione palestinese sul terreno del diritto internazionale. Madrid, che già ha formalizzato il riconoscimento nei mesi scorsi, ha salutato la decisione come “storica”. Ma è Parigi, con il suo peso geopolitico e la sua voce nel G7, a imprimere una svolta.
Il messaggio è chiaro: il riconoscimento non può più essere subordinato a un processo di pace che non esiste, né dipendere dal placet di un governo israeliano che continua a colonizzare la Cisgiordania e a devastare Gaza con operazioni che colpiscono in massa la popolazione civile. Macron ha ricordato che «non c’è alternativa» alla soluzione dei due Stati e che «l’urgenza è salvare vite umane e costruire la pace».
Il riconoscimento della Palestina è, in questo contesto, un atto politico necessario. Serve a riequilibrare una diplomazia finora schiacciata sulla sola narrativa israeliana, a ridare rappresentanza politica a un popolo dimenticato e, soprattutto, a rilanciare una prospettiva negoziale oggi completamente bloccata.
Non è un premio, è uno strumento. Non è una resa, è una scommessa sulla pace. La storia giudicherà Emmanuel Macron non solo per ciò che ha detto, ma per ciò che ha fatto. E forse, tra le rovine di Gaza e le prigioni a cielo aperto della Cisgiordania, qualcuno comincerà a vedere uno spiraglio. Non è ancora la fine della guerra. Ma è finalmente l’inizio di una politica.