Trump rilancia i dazi: export italiano sotto attacco, economia a rischio

Le politiche protezionistiche della Casa Bianca scuotono le borse internazionali e mettono in pericolo settori strategici del Made in Italy. Il rinvio al 9 luglio apre solo una breve tregua.

Nella seconda metà di maggio, l’amministrazione Trump ha riacceso lo scontro commerciale con l’Europa annunciando l’introduzione dei Dazi USA fino al 50% su un’ampia gamma di prodotti europei. Il ritorno dell’approccio “America First” punta a ridurre il disavanzo commerciale statunitense e a rafforzare la leva negoziale contro Bruxelles. Dopo un colloquio con la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, la Casa Bianca ha deciso di rinviare l’entrata in vigore delle tariffe USA al 9 luglio. La tregua apre una finestra negoziale, ma la minaccia resta concreta e tiene alta la tensione sui mercati globali.

Dazi USA e mercati finanziari: la prima reazione

L’annuncio ha scatenato forti scosse sui mercati. Il 23 maggio, le principali borse europee hanno perso terreno: il DAX tedesco è calato del 2,33%, il CAC 40 francese del 2,77% e il FTSE MIB italiano del 2%. Anche a Wall Street il clima è cambiato: il Dow Jones ha perso lo 0,91%, il Nasdaq l’1,28% e l’S&P 500 lo 0,98%.

La successiva dichiarazione di rinvio dei dazi USA ha calmato temporaneamente i mercati. Il Dow Jones è rimbalzato di oltre 700 punti (+1,8%), mentre S&P 500 e Nasdaq sono saliti rispettivamente del 2% e del 2,5%. Le borse europee hanno seguito lo stesso trend. Ma il clima resta teso e legato all’evoluzione del negoziato transatlantico.

L’Italia in prima linea: 65 miliardi di export a rischio

Il sistema produttivo italiano rischia in particolare in alcuni comparti strategici. L’agroalimentare, con 7,8 miliardi di export nel 2024, subirebbe un duro colpo. Federalimentare stima che dazi USA al 20% provocherebbero un calo del fatturato del 10% e una riduzione dei volumi esportati del 30%.

Anche il farmaceutico, che ha esportato 4,7 miliardi verso gli Stati Uniti, rischia perdite importanti. Secondo Svimez, i dazi potrebbero causare un calo tra il 13,5% e il 16,4%. L’automotive, in sofferenza già per la transizione elettrica e la debolezza della domanda globale, ha raggiunto 8,2 miliardi di export nel 2024. Le proiezioni parlano di una flessione superiore al 13%.

La meccanica industriale, altro pilastro del Made in Italy, presenta una situazione meno omogenea. Gli effetti dipenderanno dalla sostituibilità dei prodotti e dal posizionamento rispetto ai concorrenti globali.

I settori più vulnerabili: agroalimentare, farmaceutico, automotive

La struttura dell’export italiano verso gli Stati Uniti rende il Paese particolarmente esposto in alcuni comparti chiave. Il settore agroalimentare, con esportazioni che nel 2024 hanno toccato i 7,8 miliardi di euro, risulta tra i più vulnerabili. Federalimentare ha stimato che un dazio del 20% potrebbe comportare una riduzione del fatturato del 10% e una diminuzione dei volumi esportati pari al 30%. Anche il comparto farmaceutico è a forte rischio: nel 2024 l’Italia ha esportato medicinali per un valore di 4,7 miliardi di euro, e secondo l’analisi Svimez l’introduzione dei dazi comporterebbe un calo compreso tra il 13,5% e il 16,4% delle esportazioni.

L’automotive, già in difficoltà per via della transizione elettrica e della contrazione della domanda globale, ha registrato nel 2024 esportazioni verso gli Stati Uniti per 8,2 miliardi. Le stime più prudenti indicano una possibile flessione superiore al 13%. Anche la meccanica industriale, altro asse portante del Made in Italy, potrebbe subire danni rilevanti, seppur più difficili da quantificare in quanto variabili in base al tipo di prodotto e alla possibilità di sostituzione da parte di fornitori extra-UE.

Tariffe USA e occupazione: fino a 30.000 posti a rischio

Le conseguenze dei dazi non si limiterebbero alle esportazioni e alla crescita economica, ma si estenderebbero anche al mercato del lavoro. Secondo il Centro Studi di Conflavoro, la somma degli effetti negativi stimati per i vari comparti potrebbe mettere a rischio fino a 30.000 posti di lavoro in Italia. I settori più esposti sarebbero l’agroalimentare, il tessile e la moda, l’automotive e la meccanica strumentale, tutti comparti ad alta densità occupazionale e con forte esposizione al mercato americano.

Una finestra negoziale decisiva

Il rinvio al 9 luglio offre uno spazio limitato ma cruciale per riaprire il dialogo e scongiurare un’escalation tariffaria che avrebbe ripercussioni sistemiche. Per l’Italia, il rischio è duplice: da un lato, perdere un mercato chiave in settori ad alta specializzazione; dall’altro, veder compromessa la competitività internazionale del proprio sistema produttivo. In questo contesto, sarà fondamentale un’azione concertata tra governo italiano, Commissione Europea e sistema imprenditoriale per difendere l’accesso al mercato statunitense, diversificare le destinazioni commerciali e rafforzare la resilienza delle filiere più esposte.