
Con l’annuncio di una nuova raffica di dazi a partire dal 1° ottobre, Donald Trump porta un altro colpo al fragile equilibrio dei rapporti commerciali tra Stati Uniti ed Europa. Colpiti farmaci, mobili da cucina e bagno, e camion pesanti: settori strategici, scelti non a caso. L’imposizione di tariffe fino al 100% sui farmaci, al 50% sull’arredamento e al 25% sui mezzi pesanti non è soltanto una misura protezionistica: è un atto di guerra commerciale.
Il ricatto industriale
La vera chiave di lettura emerge dalle parole del presidente americano: chi vuole continuare a vendere in America senza subire la mannaia dei dazi deve spostare la produzione sul suolo statunitense. È una condizione che somiglia più a un ricatto che a una politica industriale. Trump definisce “costruzione” anche un cantiere appena avviato, come a dire che basta piantare la bandiera sul terreno americano per sfuggire alla tariffa punitiva. Si tratta di una torsione evidente delle regole del libero commercio: o ti pieghi, o paghi.
La reazione europea
La Commissione europea, attraverso il portavoce Olof Gill, ha ricordato che esiste un limite del 15% ai dazi sui farmaci previsto da un accordo internazionale, definendolo una “polizza assicurativa” per gli operatori europei. Bruxelles cerca così di disinnescare l’escalation, ma le parole di Trump appaiono ben più forti della rassicurazione comunitaria. Le industrie farmaceutiche europee parlano già di “scenario peggiore”, consapevoli che una misura simile potrebbe sconvolgere catene di approvvigionamento costruite in decenni.
Un protezionismo travestito da sicurezza nazionale
La giustificazione ufficiale è quella di proteggere la “sicurezza nazionale”. Ma la sicurezza nazionale non si difende gonfiando i prezzi dei farmaci importati, né imponendo costi aggiuntivi ai consumatori americani. La verità è che Trump continua a usare la leva dei dazi come strumento politico, con la doppia funzione di consolidare il consenso interno e di piegare i partner internazionali alle regole di Washington. Un protezionismo mascherato da patriottismo economico.
Il rischio di una nuova frattura atlantica
Questa strategia porta con sé un pericolo evidente: un nuovo muro commerciale tra le due sponde dell’Atlantico. L’Europa, già impegnata a difendersi dall’invasione dell’acciaio cinese a basso costo, si ritrova a dover reagire anche alle mosse dell’alleato americano. La promessa di cooperazione transatlantica rischia di ridursi a una formula vuota, mentre sul terreno prevalgono le logiche di scontro.
La logica del braccio di ferro
Trump non tratta: impone. Non cerca compromessi: alza la posta. Il messaggio è chiaro, “o venite a produrre in America, o pagate il prezzo”. Una logica di braccio di ferro che può forse garantire qualche stabilimento in più sul suolo statunitense, ma che mina alle fondamenta il sistema multilaterale del commercio globale. L’Europa non potrà limitarsi a invocare clausole di tutela: dovrà decidere se rispondere con fermezza o accettare di giocare una partita scritta a Washington.