La visita a Kiev del segretario di Stato americano Antony Blinken e del ministro degli Esteri britannico David Lammy l’11 settembre ha consolidato questa decisione. Durante gli incontri con il presidente ucraino Volodymyr Zelenskij, sono emersi nuovi elementi che legittimano l’uso di missili occidentali, in particolare in risposta al crescente sostegno militare dell’Iran alla Russia. Blinken ha infatti denunciato la consegna di missili balistici iraniani Fath-360 a Mosca, una minaccia che potrebbe materializzarsi nelle prossime settimane e rappresentare un pericoloso avanzamento nell’arsenale russo.
Putin, nel suo discorso, ha puntato il dito contro l’occidente, affermando che l’Ucraina non potrebbe compiere operazioni di tale portata senza il supporto di informazioni satellitari e competenze fornite dalle potenze NATO. Ha inoltre accusato direttamente l’Alleanza Atlantica di orchestrare la gestione e la programmazione degli attacchi, insinuando che ogni ulteriore azione da parte ucraina con armi occidentali trasformerebbe il conflitto in uno scontro aperto tra Russia e NATO. Le sue parole non hanno lasciato spazio a interpretazioni: la Russia risponderà con decisioni proporzionali alle nuove minacce.
Queste dichiarazioni non sono semplicemente retorica. Rappresentano una cesura nella guerra in corso, un punto di svolta che potrebbe ridisegnare l’intera strategia militare e diplomatica del conflitto. La NATO, fino a questo momento, ha mantenuto un approccio prudente, fornendo assistenza all’Ucraina ma limitando la portata delle armi per evitare di intensificare la guerra in modo diretto con la Russia. Tuttavia, la decisione del Regno Unito di permettere l’utilizzo di missili Storm Shadow sembra aver cambiato le carte in tavola. L’Ucraina ha ora la capacità di colpire in profondità nel territorio russo, il che potrebbe fungere da deterrente contro l’avanzata russa, ma al tempo stesso espone il conflitto a rischi imprevedibili.
Anche gli Stati Uniti, tradizionalmente più cauti, sono stati sollecitati da alleati come la Polonia a rivedere le proprie restrizioni sull’utilizzo delle armi a lungo raggio da parte dell’Ucraina, suggerendo che anche Washington potrebbe presto adeguare la sua posizione. Questo dimostra quanto rapidamente stia evolvendo la situazione sul campo, con la possibilità di un futuro in cui l’escalation tra Russia e NATO diventi sempre più concreta.
Sul fronte orientale della NATO, le conseguenze del conflitto stanno diventando sempre più tangibili. L’8 settembre, un drone russo ha violato lo spazio aereo della Romania, un episodio grave per un Paese membro dell’Alleanza. Subito dopo, un altro drone si è schiantato in Lettonia, evidenziando come la guerra stia progressivamente estendendosi oltre i confini ucraini. Questi incidenti hanno scatenato un’ondata di preoccupazione nei Paesi membri, molti dei quali vedono questa crescente aggressività russa come una minaccia diretta alla sicurezza europea. Edgars Rinkēvičs, presidente lettone, ha espresso il timore che tali episodi si stiano moltiplicando e ha invitato la NATO a rafforzare le proprie difese sul fianco orientale, al fine di prevenire ulteriori violazioni del territorio.
In questo contesto di crescente instabilità, si inserisce un importante dibattito internazionale sulla giustizia e la responsabilità per i crimini di guerra. Figure eminenti come David Crane, il quale ha lavorato per decenni nei crimini di guerra ed è stato procuratore capo del Tribunale speciale delle Nazioni Unite in Sierra Leone, stanno guidando gli sforzi per istituire un tribunale speciale che processi la Russia per il crimine di aggressione contro l’Ucraina. Crane, inserito nel 2022 nella “lista nera” russa, ha lavorato instancabilmente per costruire un meccanismo di giustizia internazionale che possa chiamare Putin e i suoi collaboratori a rispondere delle loro azioni davanti alla comunità internazionale. In un’intervista a Deutsche Welle, Crane ha evidenziato i progressi del Consiglio d’Europa in questa direzione, sottolineando che l’istituzione di un tribunale di tale portata rappresenterebbe un passo decisivo verso la giustizia globale.
Nel frattempo, il primo ministro britannico Keir Starmer ha cercato di attenuare le tensioni, affermando che il Regno Unito non cerca un conflitto diretto con la Russia, nonostante il pieno sostegno all’Ucraina. Starmer, alla vigilia del suo incontro con il presidente americano Joe Biden, ha voluto chiarire che l’obiettivo del suo Paese è quello di fornire all’Ucraina i mezzi necessari per difendersi, senza però trascinare il Regno Unito in uno scontro aperto con Mosca.
Il quadro che emerge è quello di un conflitto in bilico tra nuove alleanze e potenziali escalation. La NATO, nonostante i suoi sforzi per mantenere un profilo prudente, sta vedendo il proprio ruolo evolversi in modo sempre più attivo, mentre la Russia continua a lanciare segnali minacciosi. Le parole di Putin, accompagnate da azioni sempre più aggressive lungo i confini della NATO, sembrano suggerire un futuro incerto e carico di rischi per la sicurezza internazionale.
Il futuro della guerra in Ucraina, e forse della stabilità globale, dipenderà dalle scelte che verranno prese nei prossimi mesi. Con le tensioni che crescono inesorabilmente, ogni mossa politica e diplomatica dovrà essere calibrata con estrema cautela. Siamo di fronte a un bivio storico, in cui ogni decisione potrebbe determinare non solo l’esito del conflitto, ma anche il destino di un intero ordine mondiale. L’escalation sembra più vicina che mai, e con essa, il rischio che il conflitto superi il punto di non ritorno.