C’era una volta la pace. Ma non in Ucraina…

Tra ultimatum del Cremlino, i sogni di Trump e i calcoli di Pechino, il futuro dell’Ucraina si scrive a colpi di dichiarazioni. E a pagare sono sempre loro: gli ucraini

Pace Ucraina

C’è un silenzio strano a Kiev. Quel tipo di silenzio che precede una tempesta, quando tutti sanno che qualcosa sta per succedere, ma nessuno osa chiedere cosa. E mentre l’Europa continua a inviare aiuti e pacchetti militari, mentre le truppe ucraine avanzano a Pokrovsk e quelle russe rispondono a Kupiansk e Kurachove, il Cremlino sembra voler chiudere le porte a qualsiasi illusione: “Non cederemo”.

Lo ha detto chiaro Vladimir Putin ieri, durante una visita alla sede moscovita del Fondo “Difensori della Patria”, fissando un altro tassello nella sua narrazione bellica e ribadendo che il 2025 sarà l’“Anno del Difensore della Patria”. Come a dire che no, la guerra non finirà domani. E nemmeno dopodomani. Perché, testualmente, “la Federazione Russa non rinuncerà al proprio territorio nei futuri colloqui di pace”, riferendosi proprio a quei pezzi di Ucraina che Mosca ha annesso illegalmente e che Kiev rivuole indietro.

A spegnere sul nascere qualunque velleità di tregua ci ha pensato anche il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov: nessuna forza di pace europea in Ucraina, nessun cessate il fuoco. Per Mosca, l’eventuale dispiegamento di contingenti esteri sarebbe “partecipazione diretta della NATO al conflitto”. E questo è inaccettabile. Così come è inaccettabile, secondo la portavoce del Ministero degli Esteri Maria Zacharova, anche solo immaginare “una pausa” sul fronte che possa favorire l’Ucraina.

Le condizioni russe? Sempre le stesse. Lavrov le ha ripetute ancora una volta: “La cessazione dell’allargamento della NATO, garanzie di sicurezza per la Federazione Russa e il riconoscimento delle cause originarie del conflitto”. Insomma, si riparte dall’inizio: ricordate, vero? E ha aggiunto un pensiero affettuoso a Donald Trump, sostenendo che l’ex presidente americano “comprende” queste richieste meglio di chiunque altro, mentre i Paesi europei fanno finta di niente.

Ed è proprio Trump che torna al centro del palcoscenico, come una vecchia star che non ha mai smesso davvero di prendersi la scena. Intervistato nello Studio Ovale, sempre ieri, ha profetizzato: “Ucraina e Russia alla fine concluderanno un accordo di cessate il fuoco. Non penso abbiano scelta. Anche la Russia vuole un accordo, e io so che non hanno altra opzione”.

Trump ancora non sa se volerà in Arabia Saudita per i colloqui con Putin e Zelenskij. Ma si dice ottimista: “La prima volta che sono stato in Arabia Saudita hanno investito 50 miliardi di dollari nel mercato americano. Ora sono ancora più ricchi. Ho detto che sarei andato se avessero investito un trilione di dollari in quattro anni. E loro hanno accettato”, ha dichiarato ai media.

E mentre Macron parla di nucleare europeo e di inviare peace-keeper in Ucraina, Trump lancia la sua ricetta miracolosa: “Sarebbe fantastico se riuscissimo a eliminare le armi nucleari… Ero molto vicino a creare un programma di denuclearizzazione con la Russia, e Xi Jinping sarebbe stato felice di partecipare”.

Nel frattempo, i rubinetti si chiudono. Prima la sospensione degli aiuti militari all’Ucraina. Poi, il 5 marzo, lo stop allo scambio di intelligence, come riportato dal Financial Times. Senza informazioni strategiche, la vita per Kiev diventa infinitamente più complicata. Ma per Keith Kellogg, rappresentante speciale di Trump per le questioni Ucraina-Russia, la colpa è degli ucraini stessi: “Sono stati loro a portare a questa situazione”.

E mentre tutti parlano di guerra, Pechino sogna la pace. O, meglio, una pace utile. Secondo Aleksandr Gabuev, direttore del Carnegie Russia Eurasia Center di Berlino, in un’intervista alla BBC, “per la Cina l’importante è che si smetta di sparare. Dove passerà la linea di demarcazione? Questo conta poco. Non ritiene possibile il ritorno dell’Ucraina ai confini del 1991. Dunque, per Pechino, l’Ucraina mantiene sovranità e indipendenza, ma non l’integrità territoriale”.

In fondo, per la Cina, sarebbe già un “win-win” se gli ucraini smettessero di morire. Anche perché sostenere troppo apertamente la Russia porta guai: sanzioni secondarie, tensioni con l’Unione Europea, etichette scomode da “partner della minaccia esistenziale alla sicurezza europea”. Meglio lasciar raffreddare tutto, senza scontentare troppo né Mosca né Bruxelles.

Mentre Putin parla di eroismo e patria, il Paese reale è tutt’altra storia. Secondo Banki.ru, le imprese americane ancora attive a Mosca spingono per la revoca delle sanzioni che bloccano la manutenzione degli aerei occidentali, gli investimenti e le operazioni bancarie.

Nel frattempo, il divario tra ricchi e poveri aumenta: l’indice di Gini sale a 0,408, il rapporto tra il 10% più ricco e il 10% più povero tocca quota 15,1. Gli stipendi? Gli uomini aspirano a 114 mila rubli, le donne a 77 mila. Un gender gap che cresce, specialmente nei settori finanziario e IT, denuncia Izvestia.

Anche il mercato auto soffre: magazzini pieni, domanda in calo, rincari in arrivo del 25% sulle auto usate premium, scrive Kommersant.

Il premier russo Michail Mišustin cerca di parlare d’altro: sconti sui biglietti del treno per le famiglie, meno burocrazia per le non profit, integrazione finanziaria con la Bielorussia. Ma la realtà batte la propaganda ogni volta che uno stipendio non basta per arrivare a fine mese.

La sensazione è che nessuno voglia davvero la pace. Non quella vera. Putin vuole “sicurezze”, Lavrov pretende garanzie, Trump cerca il suo colpo di teatro, la Cina un equilibrio conveniente. E l’Ucraina? L’Ucraina combatte, resiste, chiede aiuto e spera. Ma oggi, tra trattative congelate, aiuti sospesi e negoziati immaginari, sembra che a Kiev – più che un futuro – resti solo un presente da sopravvivere.

E mentre ognuno gioca la sua partita, sul tavolo restano le stesse, drammatiche carte: territori contesi, alleanze fragili e milioni di vite appese ai capricci di leader troppo impegnati a vincere, per fermarsi a salvare.

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