Cassazione: ennesima ingiustizia nei confronti di Massimo Bossetti

La Cassazione non permette ai legali del muratore di Mapello di analizzare i reperti ma solo di visionarli

Massimo Bossetti

Inammissibile. La Cassazione si è espressa dichiarando tale, la richiesta degli avvocati di Massimo Bossetti di poter visionare i reperti dell’indagine che lo fecero finire in galera dieci anni fa. La Corte Suprema ha infatti stabilito che la difesa del muratore di Mapello non potrà far eseguire delle analisi sui reperti ma potrà solo prenderne visione.

Il ricorso

Gli avvocati di Massimo Bossetti, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, avevano presentato ricorso l’estate scorsa per poter far analizzare leggings, felpa, slip e giubbotto di Yara Gambirasio per verificarne il Dna, prova suprema contro il muratore. Bossetti, infatti, era stato inchiodato proprio dal Dna. Il profilo genetico di “Ignoto 1”, coincideva al 99,99% con quello del muratore. La traccia biologica, rinominata 31G20, ritrovata sugli abiti della vittima, era quella di Ignoto 1 e quindi, di Bossetti.

L’indagine

Un’indagine lunghissima per arrivare al muratore. Venne riesumata la salma di Giuseppe Guerinoni (dichiarato padre dell’assassino), eseguito esame del Dna di Ester Arzuffi (madre di Bossetti che però negò di essere rimasta incinta per una relazione extra-coniugale con Guerinoni) e quindi il match dei due Dna. Una consulenza della procura però evidenziò un’anomalia nei reperti: il Dna nucleare combaciava con il sospettato ma non il mitocondriale (che indica la linea materna). Ma per quanto si dica “madre sempre certa”, secondo il procuratore generale Marco Martani, l’analisi della traccia genetica portava in ogni caso a risultati sufficienti per trasformare una probabilità statistica in “assoluta certezza”. Quindi, la mancanza del Dna mitocondriale “non inficiava in alcun modo la valenza del nucleare” che identifica in maniera sicura un soggetto.

Yara Gambirasio. La storia.

Yara Gambirasio, 13 anni, residente a Brembate Sopra, studentessa. La giovane, il 26 novembre 2010, alle ore 17.30 si reca presso il centro sportivo del suo paese dove solitamente segue un corso di ginnastica ritmica. La tredicenne deve portare uno stereo alle sue insegnanti. Resta in palestra (secondo le testimonianze) fino alle 18.40. Da quando esce, se ne perdono le tracce. Le telecamere di sorveglianza del centro sportivo sono tutte fuori uso. Yara, in possesso di un cellulare, invia l’ultimo messaggio a una sua amica alle 18.44. Il suo telefono aggancia la cella di Ponte San Pietro in via Adamello. Alle 18.49, il suo telefono aggancia la cella di Mapello, che è a tre chilometri da Brembate Sopra. Alle 18.55 aggancia invece la cella di Brembate Sopra. Dopodiché il segnale scompare. Verrà ritrovata la scheda SIM ma non il suo cellulare.

Iniziano le ricerche di Yara, con cani molecolari alla ricerca di tracce della giovane. Vengono passati a setaccio tutti i campi e i paesi vicini. Yara è scomparsa nel nulla. Dopo 3 mesi, un aeromodellista, in un campo aperto a Chignolo, trova il corpo della ragazza. Secondo il capo della Protezione Civile di Brembate di Sopra, è impossibile che il corpo sia stato sempre lì. La zona è stata perlustrata più volte. L’assassino ha portato, sucessivamente all’omicidio, il corpo di  Yara nel campo.

Yara appare completamente vestita, con le scarpe slacciate e un lembo degli slip reciso e lasciato penzolante fuori dai leggings. Sul cadavere vengono rilevati numerosi colpi di un oggetto contundente, tra cui un trauma cranico, una profonda ferita al collo e almeno sei ferite da arma da taglio. Nei mesi seguenti si ipotizza che la morte sia sopraggiunta in un momento successivo all’aggressione, a causa del freddo e dell’indebolimento dovuto alle lesioni. Sul corpo non vi sono segni di violenza carnale e l’assassino non ha inferto nessun colpo mortale.

Massimo Bossetti

Massimo Bossetti, 44 anni, professione muratore, incensurato, sposato e padre di 3 figli. Lavora in un cantiere e si sposta dalla sua abitazione tutti i giorni per raggiungere il posto di lavoro, passando per Brembate Sopra.

Il 16 giugno la Polizia arresta il muratore perchè il suo DNA nucleare è sovrapponibile con quello del presunto assassino. Questo DNA è rilevato sul lembo tagliato degli slip di Yara e sui suoi leggings. Annuncia l’arresto il ministro dell’Interno, Angelino Alfano. L’arresto avviene in modo spettacolare alla presenza della stampa.

Al muratore si arriva attraverso un lungo percorso iniziato dalla scoperta che l’aplotipo Y del DNA di “Ignoto 1” è identico a quello di un frequentatore di una discoteca vicina al luogo del ritrovamento del corpo. Tramite un esame di vari soggetti del ramo familiare con profilo genetico sempre più strettamente correlato, si risale a Giuseppe Guerinoni, autista di autobus di Gorno deceduto nel 1999. Guerinoni è il padre naturale di “Ignoto 1”. Solo dopo molti tentativi e con l’aiuto di un collega di Guerinoni (riguardo una relazione affettiva dell’autista risalente a molti anni addietro) si risale a Ester Arzuffi. Il DNA nucleare della donna corrisponde alla metà materna del profilo di “Ignoto 1”.

L’etilometro, il DNA e le telecamere

In un finto controllo stradale, mediante l’etilometro, la polizia preleva il DNA a Massimo Bossetti. C’è corrispondenza del suo DNA nucleare con quello rinvenuto su Yara. La pubblica accusa, con la certezza virtuale propria della prova genetica identifica Bossetti come “Ignoto 1”. Altro elemento portato dall’accusa è il fatto che le telecamere di sorveglianza della strada della palestra di Yara avrebbero filmato diversi transiti del furgone di Bossetti davanti al centro sportivo. Tuttavia, per ammissione del colonnello del RIS, Giampietro Lago, gli stessi RIS hanno creato e diffuso un filmato in accordo con la procura di Bergamo, per esigenze di comunicazione alla stampa. I RIS hanno accorpato frame di varie telecamere in momenti diversi della serata. Non vi è certezza quindi che il veicolo immortalato sia proprio quello di Bossetti o che si tratti, in ogni caso, dello stesso mezzo per tutte le inquadrature.

Il movente dell’omicidio

Il movente è rimasto ignoto, seppure si ipotizzi un tentativo di violenza sessuale mentre la dinamica la modalità di aggancio della vittima rimane oscura. Non è chiaro se Yara sia salita sul furgone di Bossetti volontariamente o meno e dove ciò sia eventualmente accaduto.

La condanna all’ergastolo per Massimo Bossetti

Il 26 febbraio 2015 la Procura della Repubblica di Bergamo chiude ufficialmente le indagini e indica Massimo Bossetti come unico imputato. Chiede il rinvio a giudizio. La difesa invece chiede la scarcerazione, valutando poi l’opportunità del rito abbreviato, sostenendo che il DNA mitocondriale minoritario appartiene sicuramente a un altro individuo definito dagli avvocati “Ignoto 2”. Il criminologo Alessandro Meluzzi, consulente di parte, contesta il processo di identificazione di Bossetti con Ignoto 1 in quanto il DNA sarebbe contaminato. Chiede un’indagine sugli intestatari dei numeri di telefono presenti nella rubrica del cellulare di Yara.

Gli avvocati contestano la presunta non ripetibilità del test del DNA, effettuato senza la presenza della difesa. Del resto, al momento della determinazione del profilo genetico di Ignoto 1, Bossetti era completamente incensurato e quindi non era né noto alle forze dell’ordine né tanto meno indagato.

Il 27 aprile 2015 si apre con l’udienza preliminare davanti al  GUP del tribunale di Bergamo il processo di primo grado con l’accusa di omicidio volontario aggravato da calunnia nei confronti di un collega. Il GUP decide l’apertura del processo davanti alla Corte d’Assise il 3 luglio 2015. La difesa di Bossetti convoca ben 711 testimoni, sostenendo che Yara sia vittima di bullismo o collegando il fatto ad altri delitti avvenuti nella stessa zona.

Il 1º luglio 2016 la Corte d’Assise di Bergamo condanna Massimo Giuseppe Bossetti all’ergastolo per l’omicidio e lo assolve dall’accusa di calunnia. La Corte riconosce inoltre l’aggravante della crudeltà e revoca a Bossetti la responsabilità genitoriale sui suoi tre figli. Non viene invece accolta la richiesta del Pubblico Ministero di isolamento diurno per sei mesi. La Corte dispone i risarcimenti per ciascun genitore e per ogni fratello di Yara e per gli avvocati.

Roberto Saviano, il cantiere e il narcotraffico

Nel 2013 Roberto Saviano, nel suo libro”Zero Zero Zero”  dichiarò di ritenere possibili alcuni legami tra l’omicidio di Yara, i cantieri edili del Bergamasco, la criminalità organizzata e il traffico di cocaina. Il giornalista affermò che il padre di Yara, il geometra Fulvio Gambirasio, nel 2011 lavorava per la Lopav, un’impresa edile amministrata da Patrizio Locatelli, figlio di Pasquale Claudio Locatelli. Quest’ultimo era considerato coinvolto nel narcotraffico.

Secondo Saviano, Fulvio Gambirasio era stato testimone in un processo contro la famiglia Locatelli. L’omicidio di Yara poteva essere una ritorsione malavitosa. Questa circostanza fu in seguito smentita, quando Gambirasio, interrogato dal pubblico ministero Maria Cristina Rota, dichiarò di non aver mai testimoniato contro Locatelli.  Locatelli e Gambirasio citarono per diffamazione il giornalista.  Accusa successivamente archiviata. Nel 2016, Saviano tornò sulla questione, affermando di ritenere inquietante che non si fosse indagato in quella direzione. La Lopav aveva un appalto proprio nel cantiere di Mapello in cui i tre cani molecolari usati nelle indagini avevano condotto gli investigatori.

Lo spostamento delle provette

Nel dicembre del 2022 il PM Letizia Ruggeri è indagata dal gip di Venezia. L’accusa è di frode processuale o depistaggio in relazione allo spostamento di 54 provette contenenti traccia biologica mista della vittima e di Bossetti dal frigorifero dell’ Ospedale San Raffaele di Milano all’ufficio Corpi di reato del Tribunale di Bergamo.

Il trasferimento, durato 12 giorni con riscaldamento dei campioni che erano tenuti a -80 °C, secondo i difensori di Bossetti avrebbe alterato il DNA rendendo impossibile ogni tentativo di ulteriori analisi.

Il commento del legale di Massimo Bossetti

“Al netto della lettura delle motivazioni per esprimere un giudizio ponderato, la prima impressione è che quanto accaduto sia incredibile al punto di farmi dubitare che la giustizia esista. Il potere vince sempre”. Lo ha detto Claudio Salvagni, uno degli avvocati di Massimo Bossetti, commentando la decisione della Cassazione di dichiarare inammissibile l’istanza della difesa di analizzare i reperti del processo.

Massimo Bossetti rimarrà in carcere

Si spengono così le speranze del muratore di Mapello di avere giustizia. Purtroppo  la sola presa visione dei reperti non aiuterà i suoi legali a smontare le accuse che hanno chiuso da troppo tempo, dietro le sbarre, un probabile innocente.