Caso Garlasco, ombre e impronte senza nome: cosa ancora non torna

Tra tracce ignorate, nuovi sviluppi forensi e silenzi pesanti, il delitto di Garlasco continua a far parlare di sé. Le impronte sconosciute sulla scena del crimine riaccendono interrogativi mai sopiti.

Garlasco Chiara

A 18 anni dal brutale omicidio di Chiara Poggi, nuove rivelazioni gettano luce su dettagli rimasti nell’ombra sul caso Garlasco. Sei impronte palmari, rinvenute sui muri della scala dove giaceva il corpo della giovane, restano ancora senza un’identità. Non appartengono né ad Andrea Sempio, nuovo indagato, né ad Alberto Stasi, l’ex fidanzato condannato. Nemmeno i familiari, amici stretti o soggetti presenti sulla scena sono risultati compatibili. Allora, di chi sono quelle mani?

I consulenti incaricati dalla Procura di Pavia – Gianpaolo Iuliano, del RIS, e Nicola Caprioli, dattiloscopista forense – hanno cercato di dare un volto a quelle impronte, ma senza successo. Definite “comparabili” ma non identificabili, sono state oggetto di un meticoloso lavoro di esclusione: 27 frammenti analizzati e nessun match.

La traccia 10: la mano “sporca” che nessuno ha mai analizzato

Tra le impronte mai identificate, una in particolare solleva sospetti da tempo: la numero 10, rilevata sulla parte interna della porta d’ingresso della villetta. Una presunta “mano sporca”, su cui non venne mai eseguita alcuna analisi biologica. Se quella traccia fosse stata sporca di sangue, come alcuni agenti ipotizzarono già nel 2020, avrebbe potuto appartenere proprio all’assassino che lasciava la scena del crimine.

Perché nessuno ha voluto approfondire allora? Oggi, dopo quasi due decenni, saranno finalmente eseguiti accertamenti genetici tramite i “paradesivi” delle impronte. Un passo atteso da anni, che potrebbe riscrivere l’intera vicenda.

L’impronta 33 e Andrea Sempio: una scoperta tardiva

L’impronta 33 è diventata centrale nel nuovo impianto accusatorio. Ma com’è possibile che sia stata attribuita ad Andrea Sempio solo dopo 18 anni? Già nel 2007, i tecnici del RIS l’avevano segnalata come “traccia di interesse dattiloscopico”, ma la ritennero all’epoca inutilizzabile per confronti. Una parte venne addirittura rimossa grattando via l’intonaco. Oggi, grazie a nuove tecnologie, quella stessa impronta risulterebbe compatibile con la mano destra di Sempio.

È bastato confrontarla con due campionature attuali – una ottenuta con scanner ottico, l’altra con inchiostro – per individuare 15 minuzie compatibili. Ma perché ci sono voluti 18 anni? E come mai all’epoca si decise di archiviare le indagini su Sempio, seppure già si fosse trovato il suo DNA sotto le unghie di Chiara?

Gli errori iniziali e l’ombra di una verità mai cercata

L’inchiesta sul delitto di Garlasco è stata sin dall’inizio segnata da gravi negligenze. Dalle impronte trascurate al carabiniere che, senza guanti, contaminò la scena, fino alla tardiva individuazione di elementi chiave. La condanna di Alberto Stasi, giunta solo dopo anni di assoluzioni e ribaltamenti, è apparsa più una sentenza simbolica che la certezza di giustizia.

Oggi, con Sempio di nuovo sotto i riflettori, tornano in discussione le fondamenta dell’intero processo. La difesa dell’indagato valuta ora una propria perizia sull’impronta 33, mentre la procura spinge sul fronte delle analisi genetiche e dattiloscopiche. Ma intanto, un interrogativo resta sospeso: se quelle sei impronte non appartengono a nessuno degli indagati né dei presenti, chi c’era davvero nella villetta quel giorno?

Il circo mediatico, tra scoop, silenzi e interessi

A gettare ulteriore benzina sul fuoco, è arrivata la narrazione parallela lanciata da Fabrizio Corona nel programma Falsissimo. In un intreccio tra vecchi scoop, audio venduti e presunti testimoni ignorati, Corona insinua un dubbio ancora più inquietante: qualcuno potrebbe avere interesse a mantenere la verità sepolta.

Tra i nomi ricorrenti emergono quelli dei genitori della vittima, del legale della famiglia Poggi e di figure note del panorama televisivo. Corona suggerisce che una nuova pista sia stata ignorata proprio perché riscrivere la verità comporterebbe, tra l’altro, restituire gli 850.000 euro di risarcimento ricevuti dalla famiglia. Una tesi forte, al limite del complottismo, ma che risuona tra chi da anni si chiede: “E se Stasi fosse davvero innocente?”

Un caso ancora aperto, tra giustizia e silenzi

Il delitto di Garlasco continua a far discutere. Le nuove prove, le impronte rimaste senza nome, e le parole non dette sembrano puntare tutte nella stessa direzione: qualcosa non torna. Forse qualcuno sa, ma non parla. Forse la verità non fa comodo a tutti. In fondo, dietro a ogni mistero irrisolto, c’è quasi sempre una verità scomoda, e in questo caso, più che mai, la giustizia sembra ancora lontana.