
Cinquanta anni dopo il successo planetario dello sceneggiato di Sergio Sollima, Sandokan torna a vivere in una nuova, ambiziosa serie internazionale. L’eroe salgariano, simbolo di libertà e ribellione, è pronto a conquistare ancora una volta il pubblico, grazie alla produzione Lux Vide (gruppo Fremantle) in collaborazione con Rai Fiction.
Le prime due puntate sono state presentate in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, accogliendo l’entusiasmo di giornalisti e fan. La serie andrà in onda dal 1° dicembre 2025 su Rai1, per poi approdare anche su Disney+, in una versione pensata per il pubblico globale.
Diretta da Jan Maria Michelini e Nicola Abbatangelo, e sviluppata per la televisione da Alessandro Sermoneta, Scott Rosenbaum e Davide Lantieri, la nuova saga porta sullo schermo un’avventura ambientata nel Borneo dell’Ottocento, tra giungle, mari in tempesta e popoli in lotta contro l’oppressione coloniale.
Accanto a Can Yaman, protagonista assoluto, troviamo Alanah Bloor, Alessandro Preziosi, Ed Westwick, Madeleine Price e la partecipazione di John Hannah.
Il peso di un’eredità iconica
Il nome Sandokan evoca ancora oggi l’immagine carismatica di Kabir Bedi, l’attore indiano che nel 1976 conquistò milioni di spettatori italiani e internazionali. Il suo sguardo magnetico e la sua voce profonda trasformarono il “Tigre della Malesia” in un mito, simbolo di fascino e libertà.
Ma Can Yaman, classe 1989, non teme il confronto. Anzi, dichiara con sincerità di non aver conosciuto personalmente Bedi, né di aver visto la serie originale prima di iniziare il suo lungo percorso di preparazione.
“Non ho avuto il piacere di incontrarlo – racconta – ma spero che accada. Quando sono arrivato in Italia, cinque anni fa, non conoscevo molto di Sandokan. In Turchia non è così popolare. Però da allora ho avuto tempo di comprendere, studiare e interiorizzare il personaggio. È un ruolo che arriva una sola volta nella vita.”
Cinque anni per diventare il Tigre della Malesia
Yaman non nasconde che la lavorazione del progetto sia stata lunga e complessa, segnata da rinvii, cambi di regia e un’attesa che per lui si è trasformata in un’opportunità.
“Quando ho iniziato a prepararmi avevo trent’anni. Oggi ne ho trentacinque. Questo tempo mi ha permesso di crescere, di diventare più maturo, più consapevole. Forse, se avessi interpretato Sandokan cinque anni fa, il risultato sarebbe stato molto diverso.”
Nel frattempo, l’attore si è immerso completamente nel mondo del personaggio: ha letto i romanzi di Emilio Salgari, studiato la cultura locale, praticato equitazione, allenamento fisico intensivo e perfino imparato l’inglese e l’italiano a un livello professionale.
“Mi sono allenato duramente: ho perso peso, mi sono infortunato, ho imparato a cavalcare in stile inglese e italiano. Dovevo essere pronto a tutto, anche a sopportare il caldo, la fatica, i ritmi di set estenuanti. Ma non ho mai mollato.”
Un Sandokan più umano e contemporaneo
Il nuovo adattamento non vuole semplicemente replicare l’epopea del passato. Piuttosto, punta a riscoprire la dimensione umana di Sandokan, le sue contraddizioni, il suo lato emotivo.
“All’inizio pensavo solo all’aspetto fisico del personaggio – confessa Yaman – ma i registi e gli sceneggiatori mi hanno fatto capire che la parte più importante era quella emotiva. Sandokan non è solo un guerriero, è un uomo che soffre, che ama, che si mette in gioco per il bene degli altri.”
La prima stagione, spiega, racconterà le origini dell’eroe: la sua infanzia, la perdita della madre, la nascita del suo spirito ribelle.
“Lo vedremo crescere, evolversi, diventare qualcosa di più di un pirata. Inizia come un giovane idealista che ruba ai ricchi per aiutare i poveri, ma episodio dopo episodio scopre la sua missione, fino a diventare il simbolo di un popolo. È un personaggio che abbraccia la diversità, che rispetta le culture, che unisce anziché dividere.”
La lezione di Sandokan: la forza del sorriso
Nelle parole di Yaman si percepisce un legame profondo con il personaggio, quasi spirituale.
“Io sono una persona molto concentrata, a volte troppo. Quando affronto un ruolo importante mi irrigidisco, sento l’ansia di fare bene. Ma da Sandokan ho imparato che anche nella sofferenza bisogna sorridere, che la vita va affrontata con coraggio e leggerezza. È una lezione che porterò con me anche fuori dal set.”
L’attore rivela che, nonostante le scene d’azione e i momenti drammatici, la serie lascia sempre una sensazione positiva:
“Alla fine di ogni episodio, nonostante tutto, resta il sorriso. È questo che volevo trasmettere: un eroe che soffre, ma che non perde mai la speranza.”
Un viaggio epico che parla al presente
Il nuovo Sandokan non è solo un omaggio al passato, ma una storia universale che parla anche al presente. Parla di libertà, di rispetto, di identità.
Can Yaman, dopo cinque anni di lavoro e sacrifici, è pronto a mostrare il risultato di un percorso umano e professionale che lo ha trasformato:
“Non so come reagirà il pubblico italiano, ma spero che percepisca la passione e la dedizione che ho messo in questo progetto. Sandokan è stato per me una scuola di vita. Mi ha insegnato ad essere un attore migliore, ma soprattutto una persona migliore.”