
A cento giorni dal suo ritorno alla Casa Bianca, Donald Trump si trova di fronte a un verdetto impietoso: gli americani lo stanno abbandonando. I sondaggi parlano chiaro, appena il 39% approva il suo operato, il dato più basso mai registrato per un presidente in questo lasso di tempo da settant’anni a questa parte. Se nel 2016 l’America lo aveva scelto come simbolo di rottura e cambiamento, oggi lo guarda con diffidenza, forse addirittura con sgomento.
Il nodo non è soltanto politico. È soprattutto morale e comunicativo. Trump ha riportato alla ribalta quell’approccio muscolare, prepotente, spesso apertamente aggressivo, nei confronti tanto dei partner internazionali quanto degli stessi cittadini americani. La sua retorica ha scavato fossati, non costruito ponti. E se in campagna elettorale poteva ancora apparire efficace, oggi mostra tutte le sue crepe. Il mondo è cambiato, ma Trump no. Continua a usare la minaccia, il disprezzo, il colpo di teatro come strumenti di governo. Il risultato? Una politica estera che genera più caos che risultati.
Aveva promesso di risolvere la guerra in Ucraina in tempi rapidi, ma a oggi non si registra alcun passo avanti concreto. Anzi, la situazione è diventata ancora più intricata e la sua presunta “mediazione” si è rivelata una semplice trovata propagandistica. I toni usati contro l’Europa, contro la Cina, contro chiunque non si allinei al suo pensiero, hanno isolato ulteriormente gli Stati Uniti sul piano internazionale. Non c’è strategia, c’è solo uno show senza copione.
E poi c’è la questione economica, quella che avrebbe dovuto essere il suo cavallo di battaglia. I dazi imposti e poi ritirati, minacciati e poi sospesi, hanno destabilizzato i mercati e messo in crisi le relazioni commerciali. Le sue politiche protezioniste stanno soffocando l’economia americana invece di rilanciarla. Il 53% degli americani, secondo un sondaggio Abc/Ipsos, è convinto che l’economia sia peggiorata da quando è tornato alla guida del Paese. Il dato parla da solo.
A peggiorare il quadro ci si mette anche la gestione interna dello Stato. Trump ha affidato a Elon Musk, ora ex braccio destro, il compito di “snellire” la macchina pubblica. Il risultato è stato un’ondata di licenziamenti, tagli a pioggia e una crescente sfiducia nei confronti del governo federale. Il suo pugno duro contro l’immigrazione ha contribuito ad alimentare un clima di paura e tensione sociale, ma ha prodotto ben pochi risultati tangibili.
Tutto questo sta lentamente logorando anche il suo consenso tra i repubblicani. Se a novembre scorso il 94% dell’elettorato del GOP lo sosteneva, oggi almeno il 15% lo giudica negativamente. E sebbene i democratici non godano certo di buona salute nei sondaggi, questo non è un alibi. Trump non sta perdendo perché altri fanno meglio, ma perché lui fa peggio.
A cento giorni dall’inizio del suo secondo mandato, Donald Trump è già un presidente stanco, divisivo e sempre più solo. Ha riportato sulla scena un’America che parla il linguaggio della forza, che urla invece di ascoltare, che impone invece di negoziare. Ma il mondo non è disposto a farsi dettare condizioni. E neppure gli americani, a quanto pare.