
Nella notte tra il 2 e il 3 ottobre, Mosca si è svegliata con un arresto che sa di resa dei conti. Le forze dell’ordine hanno fermato Ibragim Sulejmanov, il “miliardario ombra” di cui da anni circolano leggende negli ambienti economici e politici. L’accusa, confermata all’agenzia di stampa TASS, è pesante: per un “sospetto” omicidio commesso nel 2024.
Il canale Baza ha raccontato che l’operazione è scattata nel cuore della notte, con l’intervento delle unità speciali. Gazeta.ru lo ha definito “uno degli oligarchi più influenti e misteriosi della Russia moderna”. Dietro il nome Sulejmanov si nasconde una rete di interessi economici che affonda nei settori più strategici. Secondo URA.ru, era il beneficiario principale di Sirena-Travel, sistema nevralgico per la prenotazione dei voli in Russia. Lo stesso portale ricorda che già nel 2004 la Procura generale lo aveva arrestato insieme al partner Tatever Surnov in un caso poi archiviato.

Altre fonti russe, sottolineano invece i precedenti giudiziari: condanne per frode e riciclaggio che non ne hanno incrinato il potere. La sua immagine pubblica, costruita sull’assenza di visibilità e sull’influenza reale, ha alimentato l’etichetta di “miliardario ombra”. La storia diventa ancor più significativa per i legami familiari. Sulejmanov è genero di Platon Lebedev, compagno di affari di Michail Chodorkovskij, l’oligarca che negli anni Novanta incarnò come pochi la parabola della ricchezza russa e del suo brusco tramonto.
Chodorkovskij, fondatore della banca Menatep, guidò la compagnia petrolifera Jukos, nata dalla fusione di tre colossi sovietici: Juganskneftegaz, Kujbyshevneft e Samaraneftegaz. La sua ascesa si spezzò nel 2003, quando venne arrestato a Novosibirsk con accuse di frode ed evasione fiscale. Nel 2005 fu condannato insieme a Lebedev, e nel 2010 affrontò un secondo processo per appropriazione indebita e riciclaggio. Lebedev era già stato fermato il 2 luglio 2003, direttamente in ospedale e trascorse più di dieci anni in carcere. La sua liberazione arrivò nel gennaio 2014, poche settimane dopo la grazia concessa a Chodorkovskij.
Quel doppio processo fu interpretato dalla stampa occidentale e dalle organizzazioni per i diritti umani come la prova che il Cremlino non avrebbe più tollerato oligarchi capaci di sfidarne l’autorità. Per i media russi, l’arresto di Sulejmanov non è una semplice indagine giudiziaria, ma un segnale politico, che mostrerebbe quanto fragile resti l’equilibrio tra potere economico e potere centrale, in un Paese dove le fortune degli oligarchi sono spesso determinate da fedeltà personali e rapporti con il Cremlino.
In parallelo, le parole di Chodorkovskij continuano a risuonare come contraltare critico. Fondatore dell’organizzazione Open Russia, che promuove la democrazia e i diritti civili, l’ex oligarca è divenuto un punto di riferimento per l’opposizione russa all’estero.
In un’intervista del 5 marzo 2025 a El País, a proposito dei recenti colloqui tra il presidente americano e quello russo, Chodorkovskij ha dichiarato: “Qualunque cosa dicano Trump o Putin non significa nulla finché non trovano un accordo sui loro interessi reciproci”. Parole che svelano la politica come un gioco di intese nascoste, dove i discorsi ufficiali valgono ben poco.
Al Warsaw Security Forum, ha invece puntato il dito contro l’inefficacia delle sanzioni: “Le sanzioni energetiche ora incidono solo sul 10% del bilancio federale russo”, sottolineando che la produzione militare russa è cresciuta del 50% dall’inizio della guerra in Ucraina. Le sue parole confermano come la vicenda Jukos, lungi dall’essere un capitolo chiuso, continui a gettare un’ombra lunga sul presente.
La notizia dell’arresto di Sulejmanov non interessa soltanto la Russia. Per l’Occidente, è il riflesso di una storia che torna a galla: quella dello scontro tra oligarchi e Cremlino. Ogni nuovo capitolo di questa saga diventa un indicatore delle dinamiche interne al potere russo, soprattutto in un contesto segnato dalla guerra e dalle sanzioni. L’arresto di un “miliardario ombra”, con legami familiari che conducono direttamente a Chodorkovskij e Lebedev, assume un valore politico oltre che giudiziario. Vi è da dire che ha anche una potenza narrativa: un impero costruito nell’ombra, un’accusa di omicidio, legami con uno degli scandali più celebri della Russia moderna. Elementi che, intrecciati, disegnano un racconto che ha l’impatto del thriller geopolitico.
Il caso Sulejmanov dimostra che le vecchie reti economiche e politiche non sono mai del tutto svanite. Cambiano i protagonisti, ma la trama resta la stessa: meccanismi di potere oligarchico, fedeltà personali e alleanze familiari che determinano fortune e cadute.
Come ha scritto Gazeta.ru, “Sulejmanov ha mantenuto influenza e ricchezza nonostante le condanne”. È l’immagine di una Russia che non ha mai smesso di oscillare tra capitalismo selvaggio e controllo politico, tra il peso degli oligarchi e la mano ferrea del Cremlino.
Produzione riservata.