Applaudire Abbas, armare Israele

Perché il governo Meloni parla di due Stati ma ne riconosce solo uno

Mahmoud Abbas - Giorgia Meloni

La presenza del presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas sul palco della kermesse di Fratelli d’Italia è stata presentata da Giorgia Meloni come la prova definitiva della centralità diplomatica italiana e come smentita delle accuse di filo-israelismo rivolte al governo. In realtà, proprio quella scena mette a nudo una contraddizione profonda, l’Italia ascolta, accoglie, applaude, ma non decide. E soprattutto non agisce.

La retorica dei due Stati

Da anni Roma ribadisce a parole il proprio sostegno alla soluzione dei due Stati. Lo ha fatto Meloni, lo hanno fatto i suoi ministri, lo ha fatto l’establishment diplomatico. Eppure, quando si è trattato di compiere un atto politico concreto, il riconoscimento dello Stato di Palestina, già adottato da Paesi europei come Spagna, Irlanda, Norvegia e molti altri nel mondo, il governo italiano ha scelto l’attendismo, rifugiandosi dietro una prudenza che somiglia sempre più a una copertura politica.

Il doppio standard con Israele

Questa ambiguità diventa ipocrisia se messa a confronto con l’altro versante della politica estera italiana, i rapporti con Israele. Rapporti che non sono solo diplomatici, ma economici, strategici e militari. L’Italia continua a intrattenere relazioni strette nel commercio delle armi, nella cooperazione tecnologica e nella sicurezza, senza mai annunciare, né tantomeno applicare, sanzioni o sospensioni, nonostante una guerra che ha causato oltre 70.000 morti palestinesi, di cui più di 20.000 bambini. Numeri che non possono essere liquidati come “danni collaterali” o come inevitabili conseguenze del diritto alla difesa.

Sicurezza invocata, diritto ignorato

Qui sta il nodo politico, il governo Meloni rivendica una distinzione formale tra il diritto di Israele alla sicurezza e la condanna generica delle sofferenze civili, ma rifiuta sistematicamente di trarre le conseguenze di questa distinzione. Se davvero l’occupazione, gli insediamenti e l’uso sproporzionato della forza non producono sicurezza ma instabilità, come ha ricordato lo stesso Abbas, allora perché continuare una normalità diplomatica e commerciale che legittima di fatto lo status quo?

Una destra che ha cambiato campo

Il paradosso è ancora più evidente se si guarda alla retorica identitaria della destra italiana. Fratelli d’Italia affonda le sue radici in una tradizione politica che, nel passato, sosteneva apertamente il riconoscimento dello Stato palestinese e denunciava l’imperialismo occidentale. Oggi quella storia viene archiviata come un imbarazzo, mentre si costruisce una narrazione in cui Israele è un alleato “naturale” e il mondo arabo una minaccia indistinta. Abbas ad Atreju serve allora più a ripulire un’immagine che a cambiare una linea.

Diplomazia simbolica

Accogliere il leader palestinese, ringraziarlo, augurare “buon Natale” e promettere collaborazione è diplomaticamente corretto. Ma senza il riconoscimento dello Stato di Palestina, senza la sospensione della cooperazione militare, senza sanzioni o pressioni reali, tutto questo resta un esercizio di retorica. Una politica estera che chiede moderazione agli oppressi e comprensione ai potenti non è equilibrio, è complicità passiva.

La scelta che non si vuole fare

La pace non nasce dagli applausi, ma dalle scelte. E finché il governo Meloni continuerà a parlare di due Stati senza riconoscerne uno, e a invocare il diritto internazionale senza mai farlo valere contro chi lo viola, l’Italia resterà spettatrice morale di una tragedia storica. Sobria nelle parole, certo. Ma politicamente afona dove servirebbe una voce chiara.