Addio a Thiago Elar: il ragazzo che lottava contro il dolore su TikTok

Dietro ogni video un grido d’aiuto, dietro ogni sorriso un abisso: la storia di Thiago Elar, il tiktoker che aveva trasformato il suo dolore in narrazione per oltre 150 mila follower. È morto a 26 anni, dopo mesi di sofferenza e isolamento.

thiago elar

Ogni post cominciava sempre allo stesso modo: “Ciao ragazzi, sono Th”. Un’introduzione che suonava familiare per i suoi follower, come l’inizio di una confessione, un nuovo capitolo di una storia troppo grande per un corpo tanto provato. Thiago Elar, all’anagrafe Lisa El Arbaoui, era nato a Bergamo il 20 dicembre 1997. Ma Lisa non esisteva più da tempo. Aveva scelto Thiago, un nome che sentiva davvero suo, autentico, necessario per rispecchiare la sua identità di ragazzo transgender.

Thiago Elar non era solo un tiktoker. Era un narratore del proprio abisso, uno specchio del dolore contemporaneo. Raccontava il disagio con una disarmante sincerità, accompagnato da quei grandi occhiali rotondi, felpe colorate, ciuffi tinti di verde e azzurro, e un corpo che la sofferenza aveva consumato fino all’osso.

Thiago Elar: un corpo che urlava silenziosamente

Negli ultimi mesi era ricoverato al centro SPDC (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura) dell’ospedale di Treviglio, in provincia di Bergamo. I suoi video mostravano un corpo che sembrava dissolversi, che parlava più delle sue stesse parole. I polsi sottili su cui i braccialetti scivolavano, i lineamenti affilati che nessuna nutrizione artificiale riusciva più a riempire. La punta visibile del suo dolore era costituita dai disturbi alimentari, ma sotto c’era molto di più: solitudine, identità ferita, battaglie mai vinte con se stesso e con il mondo.

Thiago postava quotidianamente, lasciando trasparire non solo la fragilità fisica ma anche un grido d’aiuto che il web ha raccolto come ha potuto. Alcuni utenti si sono attivati concretamente, cercandolo in ospedale, offrendosi di ospitarlo, riempiendo di messaggi le sue dirette. Ma era come se ogni gesto arrivasse troppo tardi, o non nel modo giusto. In un post, Thiago aveva scritto: “Se intasate il centralino mi mettete nei guai”, segnalando il peso anche di un’attenzione mal indirizzata.

Un mistero chiamato vita

Della sua storia si è saputo poco con certezza. Era chiaro che avesse tagliato, almeno in parte, i ponti con la famiglia. Ma non completamente. In un post di marzo aveva scritto alla nonna: “Sei la mia vita”, allegando una foto che li ritraeva insieme. Un legame affettuoso, forse uno degli ultimi rimasti solidi. Per il resto, Thiago proteggeva la sua privacy con determinazione, lasciando solo spiragli di verità. In quel vuoto narrativo, il pubblico ha riempito di ipotesi, commenti, emozioni spesso contrastanti.

Thiago Elar stesso amava definire la sua identità con una frase semplice e potente: “Manga, anime, collecting card addicted”, aggiungendo un cuore azzurro. Era la sua isola, la sua comfort zone digitale, mentre il corpo e la mente si sgretolavano sotto il peso della sofferenza.

L’ultimo saluto di Thiago Elar e la ricerca di un “posto migliore”

Domenica sera aveva scritto l’ultimo post: “Ciao ragazzi, sono Th. Sono ancora qui, domani ho l’appuntamento con il medico che mi manderà in un posto migliore”. Quelle parole, oggi, suonano come un addio consapevole. Thiago è morto lunedì 21 luglio, per cause naturali, con ogni probabilità all’interno di un hospice in cui era stato trasferito nelle ore precedenti. Aveva solo 26 anni.

La notizia si è diffusa inizialmente con incredulità e sospetto. Solo la pubblicazione del necrologio ha confermato la verità. Nella foto scelta per l’annuncio funebre, Thiago sorride con i capelli azzurri: un’immagine di dolcezza che stride con i tormenti che lo hanno accompagnato fino alla fine. Oggi, a Osio Sotto, si tengono i funerali.

Un addio che interroga tutti noi

“Si può morire così, soli e consumandosi?” È la domanda che resta sospesa dopo la storia di Thiago. Una storia che non si può liquidare come un semplice caso di cronaca. Thiago era un essere umano che aveva bisogno d’aiuto, e che aveva trovato nella rete una cassa di risonanza, non sempre una vera rete di salvataggio.

Le parole del direttore generale dell’ASST Bergamo Ovest, Giovanni Palazzo, sono state le uniche ufficiali: “Esprimiamo la nostra più sentita vicinanza ai familiari per il dolore che stanno attraversando in questo momento di grande sofferenza”. Ma le domande restano, e con esse il dovere di ascoltare, comprendere, e soprattutto, esserci davvero.

Nel mare di commenti lasciati sotto i suoi ultimi video, mai come ora quel “RIP” sembra contenere tutto il peso e la verità di una vita troppo fragile per reggere da sola.