Le recenti dinamiche del mercato dell’olio extravergine d’oliva finiscono al centro del dibattito europeo. La delegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento Ue, all’interno del gruppo dei Conservatori e Riformisti (ECR), ha chiesto chiarimenti alla Commissione europea su possibili distorsioni dei prezzi legate alle importazioni, in particolare dal Nord Africa e dalla Turchia.
Secondo Bruxelles, però, allo stato attuale non emergono elementi tali da giustificare l’apertura di un’indagine formale.
La segnalazione di FdI: prezzi in calo dell’olio nonostante costi elevati
A sollevare la questione sono stati gli eurodeputati Stefano Cavedagna, Carlo Fidanza, Nicola Procaccini, Sergio Berlato e Francesco Ventola. Nell’interrogazione parlamentare si evidenzia come, nelle ultime settimane, i prezzi dell’olio extravergine d’oliva abbiano registrato un ribasso improvviso in diverse piazze pugliesi – tra cui Brindisi, Taranto e Lecce – scendendo fino a circa 9 euro al chilo.
Un andamento che, secondo i firmatari, appare anomalo se confrontato con le giacenze limitate e con costi di produzione ancora molto elevati.
Il nodo delle importazioni nordafricane
Parallelamente al calo dei listini, gli eurodeputati segnalano un incremento delle importazioni di olio vergine da Paesi extra-Ue, in particolare Tunisia e Turchia, con prezzi nettamente inferiori rispetto a quelli praticati sui mercati europei.
Flussi che, secondo FdI, sarebbero in grado di condizionare non solo il mercato italiano ma anche quello spagnolo, principale riferimento per il settore oleario comunitario.
La risposta della Commissione: “Nessuna prova di accordi sui prezzi”
A nome della Commissione europea ha risposto Teresa Ribera, vicepresidente esecutiva con delega alla Transizione pulita, giusta e competitiva. Ribera ha spiegato che le oscillazioni segnalate sembrano riconducibili a scelte individuali degli operatori di mercato.
Al momento, ha precisato, non risultano elementi che facciano pensare a un coordinamento tra imprese o a pratiche di fissazione dei prezzi vietate dalle norme Ue sulla concorrenza. Per questo motivo, la Commissione ritiene che non sussistano le condizioni per avviare un’indagine, pur dichiarandosi disponibile a valutare eventuali nuovi elementi.
Effetti a cascata sul mercato degli oli più economici
Il ribasso dell’olio extravergine, anche quando non di origine italiana, ha conseguenze rilevanti sulle fasce più basse del mercato. Oli vergini, oli d’oliva e oli di sansa perdono appeal, perché il consumatore tende a “salire di categoria”, approfittando dei prezzi più accessibili dell’extravergine.
Questo fenomeno finisce per ridurre le vendite dei prodotti più economici, costringendo la grande distribuzione a mantenere i prezzi sopra una certa soglia per preservarne la marginalità.
Olio extravergine: tra domanda rigida ed elastica
Nel segmento dell’olio extravergine 100% italiano di alta gamma, con prezzi che in frantoio o sugli scaffali superano i 12 euro al litro e possono arrivare fino a 18–19 euro, la domanda resta sostanzialmente rigida. Chi acquista questi prodotti lo fa per qualità, tracciabilità e benefici per la salute, ed è poco influenzato dalle variazioni di prezzo.
Un calo troppo rapido dei listini, tuttavia, può essere percepito da questa clientela come una svalutazione del prodotto, più che come un’opportunità di acquisto.
Chi guadagna davvero dal ribasso
I principali beneficiari della discesa dei prezzi sono i consumatori con una domanda più elastica. Si tratta di chi abitualmente acquista extravergini nella fascia 5–8 euro al litro, spesso ottenuti da miscele comunitarie ed extracomunitarie.
Oggi, a parità di spesa o con un lieve sovrapprezzo, questo segmento può orientarsi verso un olio extravergine 100% italiano, percepito come qualitativamente superiore. In questo senso, il ribasso non è solo una questione di prezzo, ma un’occasione per riportare l’extravergine al centro del carrello quotidiano.
