Le parole del capo di gabinetto della Casa Bianca raramente sono casuali. Quando arrivano con una franchezza così marcata, diventano esse stesse un fatto politico. Le dichiarazioni di Susie Wiles a Vanity Fair, successivamente definite dalla stessa interessata come “estrapolate dal contesto”, hanno aperto uno squarcio inedito sul funzionamento interno del secondo mandato di Donald Trump e sul profilo dei suoi uomini chiave.
Trump e la “personalità da alcolista”
Descrivere il presidente degli Stati Uniti come dotato di una “personalità da alcolista”, pur chiarendo che non beve, non è una semplice immagine retorica. È una definizione comportamentale che allude a impulsività, senso di onnipotenza e incapacità di accettare restrizioni. Wiles afferma che Trump governa convinto che “non c’è nulla che non possa fare”, delineando un esercizio del potere fondato sull’espansione continua dell’autorità presidenziale.
Non meno significativa è l’ammissione che la vendetta giochi un ruolo concreto nell’azione politica del presidente. Wiles non la nega: la normalizza. Secondo la capo di gabinetto, Trump non agirebbe spinto esclusivamente dal rancore, ma non perderebbe l’occasione di colpire quando se ne presenta l’opportunità. È una frase che trasforma l’eccezione in metodo.
Vendetta e giustizia
Il riconoscimento esplicito di una componente ritorsiva nelle iniziative giudiziarie contro avversari politici solleva interrogativi istituzionali profondi. Non si tratta di accuse esterne, ma di una constatazione proveniente dal cuore del potere esecutivo. In questo quadro, la giustizia appare sempre più come uno strumento politico, e non come un potere autonomo da rispettare.
JD Vance, il vicepresidente
Il ritratto riservato a JD Vance è altrettanto severo. Wiles lo definisce “un teorico della cospirazione per un decennio” e suggerisce che la sua trasformazione da critico di Trump a fedele alleato sia stata dettata da convenienza politica. La figura del vicepresidente emerge così come quella di un uomo più attento alle correnti di potere che alla coerenza ideologica.
Le successive dichiarazioni di Vance, che rivendica di credere solo alle “teorie del complotto vere”, non attenuano l’immagine. Al contrario, rafforzano l’idea di una leadership disposta a legittimare narrazioni estreme purché utili al consenso.
Elon Musk e il governo dell’improvvisazione
Ancora più ruvido il giudizio su Elon Musk. Wiles lo descrive come un “dichiarato utilizzatore di ketamina”, una figura eccentrica e incontrollabile, capace di operare all’interno dell’apparato statale come se fosse una sua azienda privata. La gestione del Dipartimento per l’Efficienza Governativa e lo smantellamento di USAID vengono raccontati come atti rapidi, distruttivi, privi di una visione istituzionale.
L’efficienza, in questa narrazione, diventa un alibi per l’erosione delle strutture democratiche, mentre l’improvvisazione prende il posto della responsabilità.
Una difesa che non smentisce
Dopo la pubblicazione dell’articolo, la Casa Bianca ha parlato di “pregiudizio per omissione” e di frasi tolte dal contesto. Ma nessuna delle affermazioni è stata smentita nel merito. Le parole restano lì, coerenti, riconoscibili, autentiche.
Il paradosso è evidente, la donna incaricata di disciplinare il potere presidenziale finisce per descriverlo come indisciplinabile. Nel tentativo di difendere l’amministrazione, Susie Wiles ha finito per consegnare all’opinione pubblica un ritratto crudo ma rivelatore, un presidente impulsivo, un vicepresidente opportunista e un oligarca fuori controllo. Non un attacco mediatico, ma una confessione politica.
