La richiesta di grazia presentata da Benjamin Netanyahu al presidente Isaac Herzog non è solo un atto politico disperato ma è un’operazione profondamente strumentale, concepita per riscrivere la propria vicenda giudiziaria e politica come se bastasse un tratto di penna a cancellare anni di accuse, scandali e responsabilità. L’intervento, o meglio, l’ingerenza, di Donald Trump, che aveva anticipato e quasi dettato la mossa al premier israeliano durante la sua visita dello scorso ottobre, rivela in modo lampante il carattere di questa iniziativa, non un appello per il bene del Paese, ma un tentativo di trasformare un processo per corruzione in un affare di geopolitica personalistica.
L’illusione dell’“unità nazionale”
Netanyahu sostiene che la grazia servirebbe a “unificare il Paese”. Ma è difficile immaginare una formula più lontana dalla realtà. Il premier governa da anni un Israele attraversato da fratture crescenti, in larga parte aggravate da riforme giudiziarie divisive, dall’erosione sistematica dei pesi e contrappesi democratici e dalla gestione politica e militare di una crisi che ha lasciato la società israeliana più polarizzata che mai. Presentarsi come vittima di una “persecuzione giudiziaria” è il gesto finale di una narrazione vittimistica costruita con attenzione, che mira a trasformare un premier imputato nel garante dell’unità nazionale.
Le obiezioni dell’opposizione e dell’apparato istituzionale
L’opposizione, tuttavia, non abbocca. Yair Lapid ha ricordato ciò che il diritto costituzionale e la decenza politica dovrebbero imporre come ovvio, non si può chiedere la grazia senza ammettere colpa, senza esprimere rimorso e senza ritirarsi dalla vita politica. Netanyahu fa l’esatto contrario, rivendica la propria innocenza, rifiuta ogni responsabilità politica e pretende di continuare a governare mentre chiede al presidente di fermare un processo a suo carico. È una contraddizione logica e istituzionale che nessun sofisma può mascherare.
Non a caso, autorevoli giuristi israeliani definiscono la richiesta “impossibile”. E lo è davvero. Il presidente può concedere la grazia, sì, ma non può cancellare un processo in corso per iniziativa di un imputato che intende restare al potere. È una distorsione del sistema costituzionale, un precedente pericoloso che trasformerebbe il potere presidenziale in un paracadute per leader politici in difficoltà, anziché in uno strumento eccezionale e rigorosamente limitato.
Le responsabilità politiche di Netanyahu sul piano globale
C’è però un punto politico ancora più rilevante. Netanyahu non è solo un premier sotto processo. È il leader che, con le sue scelte, ha contribuito a un clima internazionale sempre più teso, anche nei confronti della stessa comunità ebraica nel mondo. Pensare che la crescente ondata di antisemitismo globale si sviluppi nel vuoto, senza relazione con le azioni del governo israeliano, è un’illusione. Le sue politiche, la gestione del conflitto e la retorica divisiva hanno alimentato polarizzazione e radicalizzazione, offrendo pretesti a chi strumentalizza il dramma del Medio Oriente per alimentare odio e intolleranza.
Confondere la critica al governo con l’odio verso gli ebrei è sempre stato un errore. Ma è un errore che Netanyahu ha spesso incoraggiato, utilizzando l’antisemitismo come scudo politico e diplomatico per delegittimare ogni contestazione. Oggi, però, questo scudo non funziona più, nessuna richiesta di grazia potrà riscrivere anni di decisioni che hanno avuto conseguenze reali, dentro e fuori Israele.
Un Paese non si salva con l’impunità
La “grazia impossibile” non è dunque un gesto di pacificazione, ma un tentativo di sopravvivenza personale. Un leader davvero preoccupato per l’unità del Paese e per la reputazione internazionale di Israele farebbe un passo indietro, non uno in avanti verso l’impunità. Le istituzioni israeliane vengono già messe alla prova da una crisi politica profonda, sarebbe un segnale di forza e maturità respingere questa richiesta e ricordare che nessuno, nemmeno un primo ministro, è al di sopra della legge.
La verità è semplice, Netanyahu non chiede la grazia per salvare Israele. Chiede la grazia per salvare se stesso. E un Paese che vuole rimanere una democrazia non può permetterglielo.
