Gli ultimi fotogrammi provenienti da Jenin sono un concentrato di ciò che la Cisgiordania è diventata, un luogo dove la resa non salva la vita, dove l’essere disarmati non garantisce alcuna protezione e dove il confine tra operazione militare e esecuzione extragiudiziale si fa sempre più labile. Due uomini palestinesi, Yussef Ali Asa’sa, 37 anni, e Al-Muntasir Billah Mahmud Abdullah, 26 anni, sono stati uccisi dalle forze israeliane dopo essersi arresi, secondo immagini provenienti da più angolazioni e confermate da giornalisti sul posto.
Il sostegno politico all’abuso: la dottrina Ben Gvir
Le autorità israeliane parlano di un’“indagine”; Ben Gvir, ministro della Sicurezza nazionale e simbolo dell’estremismo governativo, invece non attende nemmeno un accertamento dei fatti: “I terroristi devono morire”, dichiara, cancellando con una sola frase qualsiasi distinzione tra giustizia e vendetta, diritto e arbitrio. È il segno di un clima politico che non cerca di celare la propria direzione, espandere, occupare, sottomettere.
Un disegno ormai evidente
Quello che accade in Cisgiordania non è un’eccezione, non è un errore operativo, non è un incidente isolato. È parte di un disegno ormai evidente, che l’attuale governo Netanyahu porta avanti con determinazione crescente. L’idea che esista un “Palestinese pericoloso per definizione”, un corpo da neutralizzare prima ancora che un individuo da arrestare o processare, permea il linguaggio pubblico e si traduce in un modus operandi militarizzato e impunito.
I numeri della violenza e la sistematica impunità
Dal 2023, più di mille palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania, molti dei quali civili disarmati. Lo schema è sempre simile, operazioni urbane pesanti, dichiarazioni generiche su “terroristi” mai identificati con prove pubbliche, e un susseguirsi di indagini interne che raramente producono responsabilità reali. Nel frattempo, i coloni, spesso armati e protetti dall’esercito, continuano a espandere gli avamposti illegali, mentre i palestinesi vedono restringersi ogni spazio fisico e politico.
Gaza come precedente, la Cisgiordania come laboratorio
L’esecuzione di Jenin ricalca quanto già visto a Gaza, una logica bellica che annulla la distinzione essenziale tra combattente e civile, tra minaccia imminente e persona inerme. A Gaza l’annientamento è stato totale, metodico, giustificato come necessità militare. In Cisgiordania assume un volto più frammentato ma non meno inquietante, arresti di massa, demolizioni, espansione colonica e ora, sempre più spesso, uccisioni a distanza ravvicinata di persone che si stanno consegnando.
La disumanizzazione come politica di Stato
Ciò che colpisce, più ancora del sangue versato, è la disumanizzazione esplicita. B’Tselem, Centro Israeliano di Informazione per i Diritti Umani nei Territori Occupati, parla di “accelerazione nella perdita di valore della vita palestinese”. E come negarlo? Quando un ministro si congratula pubblicamente con soldati che sparano a uomini inermi, non sta difendendo la sicurezza di Israele, sta promuovendo una dottrina politica. Una dottrina che mira a rendere l’occupazione irreversibile, la paura quotidiana, l’espulsione possibile.
Il silenzio internazionale come complice
La comunità internazionale continua a invocare “moderazione” da entrambe le parti, come se un esercito dotato di tecnologia avanzata e pieni poteri operativi potesse essere paragonato a due uomini scalzi che escono con le mani alzate. Questa equidistanza è complicità. Ogni volta che l’Occidente teme di criticare Netanyahu e i suoi ministri estremisti per non urtare equilibri geopolitici, contribuisce a consolidare una realtà che, nei fatti, rende impraticabile qualunque futuro negoziato.
Quando la resa non salva la vita
La domanda è semplice: quanti episodi come quello di Jenin saranno necessari perché si riconosca che non si tratta più di sicurezza, ma di una strategia di eliminazione politica e fisica del popolo palestinese? Gaza lo ha già mostrato in forma amplificata. La Cisgiordania lo mostra giorno dopo giorno nel silenzio assordante dei vicoli militarizzati.
Se la resa non salva la vita, allora la legge è morta. E con essa qualsiasi speranza di pace reale.
