Chivasso: l’aula che abbaia e la sedia, confine invisibile tra ruolo e potere

"Il decoro non si conta: si incarna o si perde"

C’è un momento in cui una cronaca smette di essere racconto e diventa simbolo. A Chivasso, nel torinese, quel momento ha una data incisa nella memoria pubblica: 4 novembre 2025, quando il Consiglio comunale, riunito nella sala del Palazzo Santa Chiara, ha perso la sua voce formale per guadagnarne una involontaria, assordante, eterna. Un’eco, non un’emissione. Un rimbalzo di versi più che di parole.

Chivasso e la ‘dialettica’ del presidente del Consiglio Alfonso Perfetto.

Il Presidente dell’aula, Alfonso Perfetto, esponente del Partito Democratico, si rivolge a un consigliere di minoranza, Enzo Falbo di Fratelli d’Italia, con un “bau bau bau”. Non un’esclamazione momentanea gettata a stemperare i toni. Ma un  latrato, con un’intenzione percepita da tutti, chiarissima, tagliente: non rispondere all’aula, ma dominarla. Non proteggerla, ma usarla.

Il quotidiano La Voce del Canavese non edulcora, non ricama: inchioda fin dal titolo. Il Presidente del Consiglio Alfonso Perfetto deve dimettersi o il PD perde la faccia”. Una frase che pesa come una porta chiusa da dentro, che non lascia spazio al sottinteso: qui non si discute di strategie o percentuali, ma di rappresentanza e reputazione di un’intera comunità politica. E l’atto politico, stavolta, scende dalla retorica al deposito ufficiale. Ieri, il consigliere Falbo, ha formalmente protocollato la mozione di revoca contro Alfonso Perfetto. Un documento che non chiede mediazioni: chiede presa d’atto.

La deputata torinese Augusta Montaruli.

E se l’analogia deve allungarsi fino a Roma, fino alle capitali, allora va compresa senza sforzo, brutalmente esatta nella logica: in tv il “bau bau” della deputata torinese Augusta Montaruli, ospite di La7 nel febbraio 2025, fu un’arma dialettica: un ring, un riflettore, un colpo sonoro restituito alle critiche. Pochi minuti, un meme, la dinamica di un’arena mediatica che vive di amplificazione, provocazione, ferite di linguaggio. La politica-spettacolo che abbaia per non scomparire.

Ma a Chivasso non c’è palco. C’è ruolo, e il ruolo ha un’altra grammatica. Le aule democratiche non chiedono prontezza al meme: chiedono prontezza al pudore, alla responsabilità, all’uscita quando si scardina la carica. Perché lì il verso non diventa satira condivisa: diventa confine oltrepassato.

E infatti nessuno, nel racconto locale, parla più della procedura come centro. Ne parla come ritardo inevitabile di un sistema che non ha anticorpi simbolici. La mozione di revoca diventa strumento, non punto d’arrivo. E nella frase che torna, citata come premessa di tutti i ragionamenti, c’è già la presa d’atto collettiva: “La mozione di revoca depositata contro Alfonso Perfetto non è solo un atto politico: è la presa d’atto di ciò che avrebbe dovuto essere evidente fin dal 4 novembre”.

Ma è qui che la narrazione acquista peso storico. Perché a pronunciare la frase che segnerà l’epilogo, politico prima che rituale, non è un’istituzione sovraordinata, né un algoritmo di convenienza. È un uomo di militanza delle idee, un volto che non rappresenta il potere dei contenitori, ma l’attivismo delle visioni.

Marco Riva Cambrino, attivista socialista.

Marco Riva Cambrino, socialista e attivista chivassese, da anni presenza viva nel dibattito canavesano, uno di quelli che ha fatto politica ben prima di farne racconto, non parla per calcolo ma per appartenenza civica. Lo fa da socialista, ma soprattutto da garante dal basso di un patto che non si scrive nei regolamenti: si difende con la postura, con le parole, con la coerenza tra corpo e carica.

Lo definiscono “attivista”, ma l’etichetta più corretta, leggendo la traiettoria delle sue battaglie, sarebbe quella di sentinella delle istituzioni locali, uno a cui l’aula non interessa come luogo da occupare, ma come luogo da risanare, custodire, restituire.

Ed è così che arriva quella frase, che torna nel dibattito cittadino: Per dignità e per rispetto delle Istituzioni, Perfetto deve dimettersi”. E poi la critica si apre, si allarga, diventa quadro, sistema, disamina morale della politica contemporanea: “Vuoti di idee, pieni solo di eco, dove il principio guida non è la visione ma la convenienza.  In questi contenitori senz’anima non c’è più spazio per politici con la P maiuscola, per donne e uomini che interpretano la politica come servizio alla comunità, non come servizio a se stessi. Chi ha mancato di rispetto all’istituzione si aggrappa alla sedia in attesa dei numeri e delle convenienze. Questo offende il buon senso prima ancora della democrazia locale”.

La sua non è una dichiarazione ma una morfologia della democrazia. L’atto più politico quando un garante non si riconosce più come difensore ma come peso: lasciare il posto prima che il posto perda il proprio significato. La democrazia non si salva con i sondaggi. Non si difende con i memi. Si salva con la prontezza del gesto istituzionale. Se quel gesto non arriva, l’aula non si svuota di rumore, ma di legittimità.

A Chivasso, oggi, non si sta decidendo il futuro di una poltrona, si sta decidendo il futuro di un ruolo, di un’aula, di una politica che dovrebbe essere argine alla derisione, non firmataria della sua propagazione. E mentre il dibattito resta impigliato al calendario delle mozioni, Marco Riva Cambrino ricorda a tutti che: “La Politica merita altro, Chivasso merita altro”.

Perché quando il decoro si spezza, non serve un voto. Serve il coraggio di sentire l’aula prima dei numeri e lasciare il posto prima che il posto lasci il pubblico.

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