Visitare Tesori dei Faraoni alle Scuderie del Quirinale significa attraversare una soglia, entrare in un tempo sospeso in cui la vita quotidiana, la regalità e il culto divino dell’Antico Egitto tornano a esistere per qualche ora. La mostra, inaugurata lo scorso 24 ottobre 2025, rappresenta uno degli appuntamenti culturali più attesi dell’anno romano e non sorprende che abbia già registrato oltre 40 mila biglietti venduti in prevendita. Un successo che non nasce solo dal fascino intramontabile dei faraoni, ma da una curatela che unisce diplomazia culturale, ricerca scientifica e un allestimento scenografico di forte impatto visivo.
Una mostra attesa, in un anno simbolico per Roma
Il contesto della mostra è particolarmente significativo. Nel pieno dell’anno giubilare e in parallelo all’apertura del Grand Egyptian Museum del Cairo, Tesori dei Faraoni si inserisce in una strategia culturale più ampia, sostenuta da una collaborazione diplomatica tra Italia ed Egitto. La presenza, all’inaugurazione, del Ministro della Cultura Alessandro Giuli e del Ministro egiziano del Turismo e delle Antichità Sherif Fathy sottolinea come questa esposizione sia anche uno strumento di soft power, prova a rinsaldare un dialogo messo a dura prova da vicende ancora irrisolte come il caso Regeni. Ma al di là delle dinamiche politiche, ciò che il visitatore percepisce sin da subito è la potenza narrativa dell’allestimento: le sale delle Scuderie, avvolte nell’oscurità, illuminano i reperti quasi fossero apparizioni, restituendo la sensazione di camminare dentro un tempio.
130 reperti, cinque sezioni e un filo d’oro che collega vita, morte e eternità
Il percorso si sviluppa attraverso dieci sale e cinque grandi sezioni tematiche, per un totale di 130 reperti provenienti principalmente dal Museo Egizio del Cairo e dal Museo di Luxor. Una parte del fascino della mostra sta proprio in questa selezione: oggetti perfettamente conservati, molti dei quali raramente esposti fuori dall’Egitto. L’oro, materia divina per eccellenza, domina la sezione iniziale. Il sarcofago della Regina Ahhotep II e la Collana delle Mosche d’oro catturano immediatamente l’attenzione per la loro complessità tecnica e il loro significato rituale. Si passa poi ai corredi funerari, tra cui quello di Psusennes, e al sarcofago di Tuya, testimonianze di un’idea di eternità costruita attraverso simboli, amuleti e oggetti che accompagnavano il defunto nel viaggio ultraterreno.



Tra le sale che più colpiscono, c’è quella dedicata alla quotidianità regale: la poltrona dorata di Sitamun e gli utensili ritrovati nella Città d’Oro di Amenofi III raccontano un Egitto vivo, domestico, fatto di gesti quotidiani che sopravvivono allo scorrere del tempo. Il percorso culmina con la rappresentazione della regalità divina, attraverso la Triade di Micerino e la maschera di Amenemope, che incarnano l’unione tra potere terreno e dimensione sacra. La mostra si chiude con un prestito eccezionale del Museo Egizio di Torino: la Mensa Isiaca, una lastra di bronzo decorata con rappresentazioni di culti isiaci rinvenuta nel tempio di Iside al Campo Marzio. È un oggetto simbolico, quasi un manifesto del legame millenario tra Roma e l’Egitto. Fu proprio da questo reperto che nacque, nell’Ottocento, la collezione che diede origine al Museo Egizio di Torino: un filo storico che oggi torna a chiudersi nelle sale delle Scuderie.
Un’esperienza personale: una mostra che accompagna, non disorienta
Ciò che più mi ha colpito della visita è stata la cura con cui il percorso è stato pensato per il pubblico. Spesso, nei musei, la quantità di informazioni, la scarsità di illuminazione o la confusione delle didascalie rendono la visita faticosa. Qui accade l’opposto. Le audioguide, incluse nel biglietto e facilmente usufruibile con QR code dal nostro smartphone, offrono spiegazioni brevi e chiare, affidate alla voce di Roberto Giacobbo in italiano e a quella di Zahi Hawass in inglese. In pochi minuti per sala, si viene guidati tra i reperti senza sovraccarico di dati, ma con un ritmo narrativo ben calibrato.
In circa un’ora e mezza è possibile esplorare tutte le dieci sale, lasciandosi accompagnare da una scenografia che esalta i reperti senza distoglierne l’attenzione. Si esce con la sensazione di aver intravisto uno scorcio autentico di vita faraonica: una civiltà sofisticata, ingegneristicamente avanzata, capace di lasciare tracce che ancora oggi parlano di ingegno, spiritualità e potere.


Il fascino che non passa mai
Tesori dei Faraoni non è solo una mostra: è un ponte temporale che connette passato e presente, Roma e Il Cairo, archeologia e diplomazia culturale. Ma soprattutto è un invito a riflettere sul senso di ciò che resta. Di come, a migliaia di anni di distanza, i faraoni riescano ancora a raccontare la loro storia e di come, forse, anche noi dovremmo chiederci quale eredità stiamo costruendo per chi verrà dopo di noi. Un’esperienza che consiglio a chiunque voglia lasciarsi affascinare da una civiltà che non smette mai di parlare.
