Da bancario a rapinatore in 72 ore: il baratro di un uomo della Bovisa

Separazione, dipendenze e debiti: così un impiegato 48enne, incensurato, è precipitato in tre giorni in una spirale di cinque rapine sotto casa.

Bovisa rapina

Per anni, Cesare G. era stato il prototipo del quarantenne qualunque: un lavoro stabile in banca, una casa alla Bovisa, una vita senza clamori. Dietro quella facciata ordinata, però, negli ultimi mesi si era fatta strada una frattura sempre più profonda. La separazione, vissuta come un fallimento personale, aveva aperto un varco emotivo in cui si erano infilati prima la cocaina, poi il gioco d’azzardo. Due abitudini che rapidamente erano diventate necessità, macinando soldi, equilibrio e fiducia in sé stesso.

La sua esistenza, un tempo lineare, si era trasformata in un campo minato. Debiti crescenti, rapporti familiari tesi, notte insonni e una sensazione costante di precipizio. Finché, all’inizio di ottobre, il baratro si è spalancato del tutto.

Il primo colpo alla Bovisa: un gesto avventato che innesca la spirale

È il 29 settembre, attorno alle 19, quando Cesare varca la porta di un solarium in piazzale Lugano. Non indossa maschere, né cappucci: il suo volto è scoperto, quasi fosse convinto che nessuno lo avrebbe mai riconosciuto. Chiede il prezzo di una lampada facciale. Poi, come se qualcosa in lui scattasse improvvisamente, estrae una pistola scacciacani e la punta contro la commessa. Le frasi che pronuncia sono un miscuglio di minaccia e disperazione: vuole l’incasso, “tutto e subito”.

La donna gli consegna circa mille euro. Lui fugge, sempre a volto scoperto. Le telecamere catturano ogni dettaglio: l’andatura, la fisionomia, persino le esitazioni nei gesti. Ma nell’archivio delle forze dell’ordine non risulta nulla: nessun precedente, nessuna foto, nessun indizio sul suo passato.

Due giorni dopo: la raffica che rivela un uomo allo sbando

Il 1° ottobre non è ancora sorto quando la sua bicicletta attraversa di nuovo le strade del quartiere. È l’alba, e Cesare entra in un bar di via degli Imbriani con un cappellino mimetico e un giubbotto inconfondibile, di quelli che basta vederli una volta per ricordarseli. Poche parole, la pistola in bella vista e altri 250 euro nelle mani.

Per molti criminali, dopo un colpo viene la fuga. Per lui, invece, arriva un’accelerazione. Forse la convinzione di poter recuperare i soldi dei debiti, forse un impulso autodistruttivo che ormai era diventato incontrollabile. La zona della Bovisa la conosceva bene, sapeva come muoversi.

Alle 11.30 è già pronto per il terzo assalto: sceglie la farmacia di piazza Bausan. Slega la bici, entra, si mette in fila come un cliente qualunque. Nessun comportamento sospetto, nessun segnale d’allarme. Solo quando arriva il suo turno estrae la pistola e pretende l’incasso, circa 150 euro.

La sequenza però non è finita. La sera, verso le 21, entra in un fast food della stessa via. Questa volta il piano si spezza: la commessa, in preda al panico, scappa e lui non riesce a portare via nulla.

Interessato più a ottenere soldi che a mantenere un minimo di metodo, si sposta soltanto di qualche strada. Alle 22 è in una gelateria di via Varchi. Ripete la sceneggiatura di sempre, quasi una liturgia: la minaccia, l’arma, la voce che si fa più dura per nascondere l’agitazione. Se ne va con 600 euro.

Cinque colpi, tre giorni, poche centinaia di metri. Un comportamento così disordinato e circoscritto che per gli investigatori suona come un segnale evidente: il rapinatore non viene da fuori. Abita lì.

La caccia della polizia: zona Bovisa setacciata a tutte le ore

Gli agenti della Squadra Mobile cominciano a incrociare gli orari, le mappe, i dettagli. L’idea che si tratti di un criminale esperto perde peso di ora in ora. Le rapine sono troppo ravvicinate, troppo improvvisate, troppo simili. E soprattutto tutte sotto casa.

Così il quartiere della Bovisa diventa una griglia battuta a tappeto, giorno e notte. Le pattuglie controllano vie laterali, negozi, portoni, cantine. Interrogano commercianti, rivedono filmati, cercano un volto che non compare in nessun archivio.

Il 6 ottobre la ricerca si conclude quasi per caso: una pattuglia dei Falchi nota un uomo in bicicletta in via Acerenza. Ha addosso un giubbotto già visto nei video e il suo aspetto coincide quasi perfettamente con quello del rapinatore.

Lo fermano. Cesare non oppone resistenza. In questura viene fotosegnalato; poi la perquisizione nella sua cantina svela tutto: la pistola scacciacani, i vestiti usati nei vari colpi, perfino alcuni dettagli riconoscibili che hanno fatto combaciare ogni tassello. Le vittime, chiamate a effettuare il riconoscimento, non hanno dubbi.

Una storia di crimine, ma soprattutto di fragilità

Il bottino complessivo non supera i duemila euro. Una cifra insignificante se paragonata alla pena che ora rischia. Ma ciò che colpisce di questa vicenda non è la dimensione criminale: è la parabola tragica di un uomo che in pochi mesi ha visto sgretolarsi lavoro, affetti e dignità, fino a trasformarsi nel protagonista di una serie di rapine maldestre nel quartiere che chiamava casa.

Un caso che non parla di professionismo, ma di fragilità umana. Di una solitudine diventata voragine. Di una fuga da sé stesso durata appena tre giorni.