Chen Zhi, il magnate cambogiano accusato di guidare un impero delle truffe

Il 37enne imprenditore, a capo del gruppo Prince, è al centro di un’inchiesta internazionale su riciclaggio, frodi online e sfruttamento di lavoratori nei cosiddetti “scam center”.

Chen Zhi

Il 14 ottobre, Stati Uniti e Regno Unito hanno sequestrato beni per miliardi di dollari a una rete accusata di frodi digitali globali. Beni che includono bitcoin, immobili di lusso, jet privati e conti bancari.
Al centro delle indagini c’è Chen Zhi, 37 anni, imprenditore cinese naturalizzato cambogiano, considerato il principale beneficiario di questo sistema di truffe.

Il suo nome è oggi associato a una delle più grandi operazioni di riciclaggio e frode online degli ultimi anni. Dalla diffusione della notizia, Chen Zhi è scomparso, rendendosi irreperibile.

Chi è Chen Zhi, il “golden tycoon” di Phnom Penh

Nato nella provincia cinese del Fujian, Chen Zhi si è trasferito in Cambogia poco più che ventenne. In quel periodo il paese era in forte espansione nel mercato immobiliare sostenuto da capitali cinesi.
Nel 2014 ha ottenuto la cittadinanza cambogiana grazie a un investimento, e l’anno successivo ha fondato il Prince Group, conglomerato attivo in immobili, finanza e ospitalità. Nel 2018 ha creato anche la Prince Bank, espandendo la propria influenza economica e politica.

Con passaporti ottenuti anche da Cipro e Vanuatu tramite i cosiddetti “golden passport”, Chen Zhi è riuscito a costruire un impero presente in oltre 30 paesi. Ma dietro la facciata legale, secondo le autorità, si nascondeva una rete criminale sofisticata.

Gli “scam center”: fabbriche di truffe e sfruttamento

Le accuse più gravi riguardano gli scam center, veri e propri complessi industriali della truffa nati nel sud-est asiatico.
Queste strutture attirano giovani da paesi poveri promettendo lavori ben pagati, ma una volta arrivati sul posto, i lavoratori vengono privati dei documenti, rinchiusi e costretti a commettere frodi online: finte storie d’amore, investimenti truccati, furti di criptovalute e scommesse illegali.

Secondo le stime delle Nazioni Unite, oltre 200mila persone vivono in queste condizioni tra Cambogia e Myanmar.

Uno dei centri più noti è il Golden Fortune Science and Technology Park a Chrey Thom, vicino al confine vietnamita, costruito da società legate a Chen Zhi. Il complesso era protetto da muri e filo spinato. Descritto da testimoni come una vera prigione dove qualsiasi tentativo di fuga era punito con violenze brutali.

Dai casinò alle truffe digitali: l’evoluzione del business

Chen Zhi avrebbe consolidato la sua fortuna partendo dal settore dei casinò e resort di lusso, molto diffuso in Cambogia e spesso collegato alla criminalità cinese.
Con la pandemia e la chiusura delle frontiere, però, molti operatori del gioco d’azzardo hanno spostato le attività online. Una modalità che ha dato origine a un nuovo modello di truffe digitali transnazionali.

Secondo il Dipartimento di Giustizia statunitense, gran parte delle ricchezze di Chen Zhi — tra cui jet privati, yacht e perfino un quadro di Picasso acquistato a New York — deriverebbero proprio dai profitti generati da questi scam center.

Legami politici e protezione in Cambogia

In Cambogia, Chen Zhi ha coltivato stretti rapporti con il potere politico. Nel 2017 è stato nominato consigliere del ministro degli Interni Sar Kheng, e in seguito anche del primo ministro Hun Sen e del suo successore Hun Manet.
Malgrado le accuse di riciclaggio e traffico di esseri umani, non è mai stato incriminato nel suo paese.

Anzi, dopo che Stati Uniti e Regno Unito hanno sequestrato i beni, il governo cambogiano ha emesso una nota ufficiale per difendersi. Il governo sostiene che Chen Zhi avrebbe sempre agito nel rispetto della legge nazionale e auspicando un “processo equo” nei paesi occidentali.

Un impero fondato sull’ambiguità

Il caso di Chen Zhi mostra come il confine tra potere economico e attività criminale possa diventare estremamente sottile. Soprattutto nei paesi dove la corruzione e la dipendenza dagli investimenti esteri sono radicate.
Dietro l’immagine di imprenditore modello e benefattore, si sarebbe sviluppato un sistema di sfruttamento, frode e riciclaggio che coinvolge migliaia di vittime e miliardi di dollari.