Trump e Orbán, l’abbraccio che divide l’Occidente

Dalla Casa Bianca arriva l’esenzione ungherese sulle sanzioni al petrolio russo. Un favore politico che isola Kiev, irrita Bruxelles e rafforza l’asse dei sovranisti con Meloni sullo sfondo

Donald Trump - Viktor Orban

Nel nuovo asse che si va disegnando tra Washington, Budapest e Roma, il filo conduttore non è la diplomazia tradizionale, ma una visione politica comune, sovranista, identitaria, diffidente verso Bruxelles e ostile alla complessità multilaterale che reggeva l’ordine occidentale fino a pochi anni fa. L’incontro tra Donald Trump e Viktor Orbán alla Casa Bianca ha sancito la piena sintonia tra due leader che si considerano reciprocamente modelli, l’ungherese come simbolo del “realismo” nazionale che sfida l’Europa liberale, l’americano come incarnazione di un populismo di potere che si traveste da pragmatismo.

L’esenzione energetica come simbolo politico

L’occasione è stata la concessione all’Ungheria di un’esenzione annuale dalle sanzioni energetiche statunitensi contro la Russia. Orbán, che ha costruito la propria sopravvivenza politica sulla continuità delle forniture di petrolio russo, è riuscito là dove altri alleati di Washington hanno fallito, ottenere una deroga strategica in nome della “specificità geografica” del suo Paese. Trump ha giustificato la decisione evocando l’assenza di sbocchi al mare dell’Ungheria, ma dietro l’argomento logistico si nasconde un disegno politico preciso, rafforzare un alleato ideologico nel cuore dell’Europa centrale e indebolire il fronte atlantico che sostiene l’Ucraina.

Kiev isolata e irritata

L’effetto immediato è stato quello di irritare profondamente Kiev. Le dichiarazioni di Orbán a Washington, secondo cui servirebbe “un miracolo” perché l’Ucraina vinca la guerra, hanno suonato come un tradimento in piena regola, aggravato dall’indulgenza con cui Trump le ha accolte. Non è un mistero che Zelensky guardi con crescente preoccupazione all’avvicinamento tra Budapest e la nuova amministrazione americana. Orbán è il solo leader europeo che abbia mantenuto relazioni operative con Mosca e che, dopo l’invasione del 2022, abbia aumentato anziché ridurre la propria dipendenza dal petrolio russo.

L’elogio dell’autocrate

Trump, dal canto suo, sembra disposto a sacrificare la coerenza strategica pur di premiare chi lo omaggia. Loda Orbán come “un grande leader di un grande Paese”, difendendolo dalle accuse di autoritarismo con un’argomentazione tanto disarmante quanto rivelatrice: “Molti sono gelosi di lui”. È il linguaggio di una politica che confonde la forza con la virtù, e la fedeltà personale con l’alleanza internazionale.

Il triangolo Trump–Orbán–Meloni

Il sostegno reciproco tra Trump e Orbán non è isolato. Su un piano parallelo, Giorgia Meloni intrattiene con entrambi un rapporto privilegiato, basato su convergenze ideologiche e convenienze politiche. Seppure più attenta a non rompere apertamente con l’Unione Europea, Meloni condivide con i due uomini forti la narrazione di una “sovranità da riconquistare” contro Bruxelles e la diffidenza verso le istituzioni multilaterali. L’incontro Trump–Orbán, con l’ombra compiacente di Roma sullo sfondo, appare così come un tassello di una più ampia alleanza conservatrice transatlantica che punta a ridisegnare gli equilibri occidentali dall’interno.

Il prezzo del cinismo geopolitico

Ma questa fratellanza politica ha un prezzo. L’esenzione ungherese mina la credibilità delle sanzioni occidentali contro la Russia, indebolisce la solidarietà europea e alimenta le ambizioni di Putin, che da sempre conta sulle divisioni dell’Occidente più che sulla propria forza economica. La “realpolitik” di Trump e Orbán è, in realtà, una resa al cinismo geopolitico, normalizzare l’aggressione russa e relativizzare la libertà ucraina in nome di un nazionalismo energetico.

L’Europa di fronte al nuovo blocco sovranista

Dietro la cordialità esibita alla Casa Bianca, si intravede un messaggio che va ben oltre l’oleodotto Druzhba, il ritorno di un blocco sovranista che considera i valori democratici occidentali un ostacolo e non un fondamento. Se questa è la “nuova età dell’oro” auspicata da Orbán, sarà un’epoca dorata solo per chi confonde la fedeltà personale con l’interesse nazionale. Per l’Europa, e per l’Ucraina che ne rappresenta oggi la frontiera morale, si profila invece un tempo di nuove solitudini.