C’è un filo nero che attraversa la storia recente della Sicilia, quello della commistione fra politica, affari e corruzione. Oggi torna a farsi denso con la notizia della richiesta di arresto per Totò Cuffaro, ex presidente della Regione Siciliana, e per il deputato Saverio Romano di Noi Moderati, nell’ambito di un’inchiesta su appalti truccati nella sanità. Diciotto indagati in totale, accuse pesanti, associazione a delinquere, corruzione e turbativa d’asta, e una domanda che, ancora una volta, rimbalza nelle coscienze dei siciliani: quanto ancora dovremo sopportare che la cosa pubblica sia gestita come un feudo privato?
Cuffaro, il simbolo di una politica che non muore mai
Cuffaro, già condannato per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra, è il simbolo vivente di una politica che, in Sicilia, non muore mai davvero. Uscito dal carcere nel 2015 dopo quasi cinque anni di reclusione, è tornato alla ribalta fondando una nuova Democrazia Cristiana, stringendo alleanze, trattando posti, ricucendo reti di potere. E ora, ancora una volta, il suo nome compare nelle carte della Procura di Palermo per presunti affari sporchi nella sanità, il settore dove l’etica pubblica si misura ogni giorno con la fragilità della vita umana.
Il sistema delle complicità
Non si tratta solo di Cuffaro o di Romano. È un sistema che mostra le sue metastasi dentro le istituzioni, dove il controllo del denaro e delle nomine diventa un’arma di consenso e di corruzione. È una Sicilia che sembra non riuscire a liberarsi dal proprio passato, che si illude di essere cambiata ma che continua a riprodurre gli stessi schemi, uomini riciclati, partiti rinati sotto nuovi simboli, accordi trasversali tra forze che dovrebbero essere alternative ma che, nei fatti, si tengono per mano per spartirsi il potere.
Il patto con la Lega di Salvini
Emblematica, in questo quadro, l’intesa annunciata poche settimane fa tra la Lega di Matteo Salvini e la Nuova Democrazia Cristiana di Cuffaro per le elezioni nazionali del 2027. Un patto che grida vendetta sul piano morale, prima ancora che politico, come può il partito che dice di voler “ripulire l’Italia” stringere alleanze con chi porta sulle spalle condanne definitive per favoreggiamento alla mafia e che oggi è nuovamente sotto indagine? È la fotografia impietosa di una politica senza memoria, pronta a tutto pur di conservare qualche punto percentuale e qualche sedia in Parlamento.
La voce dell’indignazione
Intanto, mentre i palazzi si affannano a trovare nuovi equilibri, in Sicilia cresce l’indignazione. Il deputato regionale Ismaele La Vardera ha chiesto di andare a nuove elezioni, segnalando che l’attuale classe dirigente ha perso ogni legittimità morale. Ed è difficile dargli torto. Ogni scandalo, ogni inchiesta, ogni arresto sembra una tappa di un copione già scritto, dove i protagonisti cambiano volto ma non sostanza.
La Sicilia che non vuole arrendersi
Ci si chiede allora: dov’è il rinnovamento? Dov’è la Sicilia che pretende trasparenza, che vuole amministratori al servizio del bene comune e non del proprio tornaconto? Forse esiste, ma resta soffocata sotto il peso di una cultura politica che premia la fedeltà e non la competenza, l’omertà e non il coraggio.
Un ciclo che deve essere spezzato
Totò Cuffaro, con le sue mille resurrezioni politiche, è il simbolo di un’isola che non riesce a chiudere i conti con il proprio passato. Ma non è solo colpa sua. È colpa di un sistema che lo accoglie, lo riabilita, lo applaude e gli concede ancora spazio. E finché la Sicilia non imparerà a dire “basta” davvero, la storia continuerà a ripetersi: scandali, arresti, indignazione passeggera, e poi di nuovo le stesse facce, gli stessi sorrisi, le stesse mani che si stringono nei corridoi del potere.
Finché non verrà spezzato questo ciclo, la mala politica continuerà a governare l’isola con il consenso silenzioso di chi, rassegnato, non crede più che possa esistere un’alternativa. E sarà questa la più grande sconfitta della Sicilia onesta.
