 
La morte violenta di Charlie Kirk, figura di spicco della destra americana, ha aperto una ferita non solo politica ma culturale. L’assassinio di un personaggio tanto polarizzante era inevitabilmente destinato a generare onde d’urto. Tuttavia, ciò che oggi inquieta non è soltanto l’omicidio in sé, ma il clima che ne è scaturito: un’atmosfera di persecuzione, di delazione organizzata e di repressione sociale che richiama alla memoria pagine oscure della storia del Novecento.
In un’America già profondamente divisa, la reazione alla morte di Kirk ha travalicato i confini della legittima condanna della violenza. Non basta più deplorare l’assassinio: occorre venerare la figura del defunto, aderire al culto del “martire”, uniformarsi al registro ufficiale. Chi esprime un pensiero critico, persino un commento caustico sui social, rischia oggi la carriera, la reputazione e la vita privata. Docenti universitari, insegnanti, funzionari pubblici e persino membri delle forze armate sono stati pubblicamente denunciati, rintracciati e licenziati per aver scritto poche righe non allineate.
Caccia alle streghe
Questa dinamica si è trasformata in una vera e propria caccia alle streghe digitale: influencer conservatori invitano i propri seguaci a scovare, segnalare, colpire. Si cercano foto profilo da incrociare con LinkedIn, si chiamano i datori di lavoro, si intasano le caselle di recensioni Google. L’obiettivo non è il dialogo, né la giustizia: è l’annientamento del dissidente.
Il paragone con gli anni Trenta in Europa non è azzardato. Allora, la delazione era strumento privilegiato dei regimi totalitari: i vicini di casa, gli impiegati, i colleghi di lavoro potevano consegnare una persona alle autorità con una semplice accusa. Oggi, nell’America post-Kirk, il meccanismo si ripete in chiave digitale: la folla online sostituisce la polizia segreta, ma la logica è identica. E la conseguenza è la stessa: un clima di paura generalizzata, in cui chiunque rischia di essere marchiato come nemico pubblico.
Kirk trasformato in un eroe nazionale
Donald Trump ha colto l’occasione per rafforzare questo clima. Ha trasformato Kirk in un eroe nazionale, ordinando bandiere a mezz’asta, utilizzando l’Air Force Two per trasportarne la salma e chiedendo un cordoglio di Stato. Un gesto che, a prescindere dal valore personale dell’attivista, ha avuto l’effetto politico di sacralizzarne la memoria e di rendere intollerabile qualsiasi voce critica. Chi dissente non è più semplicemente un oppositore: diventa un blasfemo da espellere dalla comunità.
La democrazia vive di pluralismo, di dissenso, persino di ironia pungente. Una società che punisce severamente la libertà di parola, anche quando sgradevole, rinuncia alla propria vitalità. Il rispetto per i morti non può tradursi nell’imposizione di un silenzio coatto sui vivi.
L’America che si diceva terra del Primo Emendamento sta oggi imboccando una strada diversa, in cui la libertà è condizionata alla conformità politica. Non è soltanto la sinistra a rischiare: domani lo stesso strumento potrà essere rivolto contro i conservatori. Perché una volta che la delazione diventa norma, nessuno è più al sicuro.
Il funerale di Kirk, previsto in uno stadio da oltre 60.000 posti, sarà probabilmente il trionfo di questa trasformazione: un rito di massa non solo per commemorare, ma per cementare un’ortodossia. Resta da vedere se l’America saprà riconoscere in tempo il pericolo di questo scivolamento o se, nel nome di un martire, finirà per sacrificare la libertà che dice di difendere.

 
		 
		