
In Thailandia, in occasione del compleanno del sovrano, Anchan Preelert, 69 anni, ha riconquistato la libertà dopo una condanna record di 43 anni per lesa maestà. L’ex dipendente statale venne arrestata per diffusione online di contenuti critici verso la monarchia e si trovava in carcere dal 2015. La grazia reale le ha consentito di uscire dopo aver già trascorso circa otto anni dietro le sbarre.
Thailandia: una condanna senza precedenti
Il processo che aveva visto protagonista Anchan aveva attirato l’attenzione dei media internazionali per l’entità della pena.Nel 2021, il tribunale condannò la donna inizialmente a 87 anni di carcere. Tre anni per ciascuno dei 29 file audio del podcast “DJ Banpodj” che aveva condiviso su YouTube. La sentenza fu poi ridotta a 43 anni in seguito alla sua confessione. Si trattava, fino ad allora, della pena più severa mai inflitta in Thailandia per violazione della legge sulla lesa maestà.
L’uscita dal carcere e il sostegno dei cittadini
Al momento della scarcerazione, Anchan è apparsa vestita con una maglietta bianca e un velo viola. All’esterno, un gruppo di sostenitori l’ha accolta con fiori e cartelli con la scritta “Bentornata a casa”. Con emozione, ha dichiarato ai giornalisti: “Ho trascorso otto anni lì… È una sensazione agrodolce”. Oltre a lei, altri 84 detenuti hanno beneficiato della grazia reale nello stesso giorno.
La dura legge in Thailandia sulla lesa maestà
L’articolo 112 del codice penale thailandese tutela il sovrano e la famiglia reale da qualsiasi critica. Per ogni violazione è prevista una pena fino a 15 anni di reclusione. Le organizzazioni per i diritti umani denunciano da tempo l’applicazione estensiva e talvolta arbitraria della norma, che limita la libertà di espressione e viene spesso usata contro gli oppositori politici.
Pene sempre più severe
Il caso di Anchan non è rimasto isolato. Nel 2023 un uomo di 32 anni, Mongkol Thirakot, subì la condanna ad almeno 50 anni di prigione per alcuni post su Facebook ritenuti offensivi nei confronti della monarchia. Questo episodio ha superato il primato della donna, confermando un trend di condanne particolarmente dure.
Reazioni internazionali e dibattito politico
Organizzazioni come Amnesty International hanno accolto con favore la scarcerazione di Anchan, definendola un raro atto di clemenza nei confronti di un prigioniero politico. Tuttavia, il mese scorso il parlamento thailandese ha respinto una proposta di legge che avrebbe previsto un’amnistia generale per i reati legati alla lesa maestà. Il rifiuto evidenzia la volontà delle istituzioni di mantenere salda la protezione legale della monarchia.
Crescita dei procedimenti giudiziari in Thailandia
Secondo Thai Lawyers for Human Rights, negli ultimi cinque anni oltre 280 persone sono state incriminate per violazioni dell’articolo 112. Il numero dei procedimenti è aumentato notevolmente dopo le grandi proteste del 2020, che hanno visto per la prima volta critiche dirette e pubbliche al ruolo del re.
Uno sguardo dall’Occidente
Il caso di Anchan mette in luce il forte contrasto con la realtà europea. In Paesi come l’Italia, un’accusa di questo tipo difficilmente avrebbe portato a una condanna detentiva, sottolineando la distanza tra due culture giuridiche e politiche diverse. Un episodio che porta a riflettere su quanto possano essere differenti i concetti di libertà di espressione e tutela delle istituzioni nei vari sistemi democratici.