
Questa mattina, poco prima delle 9, ufficiale giudiziario e polizia di Stato hanno dato esecuzione al provvedimento di sfratto del Leoncavallo. Quello che era l’ex cartiera di via Watteau divenuta dal 1994 uno dei centri sociali più noti in Italia. All’operazione hanno preso parte anche i carabinieri, che hanno presidiato gli accessi anteriori e posteriori della struttura, bloccandoli. Nel giro di poche ore, decine di sostenitori hanno raggiunto l’area per esprimere solidarietà agli attivisti.
Lo sgombero era stato richiesto dai proprietari, la società L’Orologio srl della famiglia Cabassi, già dal 2005. Il provvedimento, tuttavia, era stato rinviato per ben 133 volte in vent’anni, fino a oggi.
Le reazioni del Governo e della politica
Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha commentato l’operazione sottolineando la necessità di “difendere la legalità ovunque”. Il presidente ribadisce che “le occupazioni abusive rappresentano un danno per le comunità che rispettano le regole”.
Sulla stessa linea anche il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che ha definito l’intervento un “passo importante” nella strategia di tolleranza zero verso le occupazioni. Il ministro ricorda a tutti che dall’inizio della legislatura sono già stati liberati quasi 4.000 immobili. Il vicepremier Matteo Salvini, invece, ha liquidato la vicenda con un laconico post sui social: “La legge è uguale per tutti: afuera!”.
Dall’opposizione, Riccardo Magi (Più Europa) ha definito l’iniziativa “un’operazione di facciata del governo” e ha accusato la destra di doppi standard.
“Se il problema fosse davvero la legalità, il governo avrebbe già sgomberato Casapound a Roma”.
L’accusa di “anomalia” e il nodo giudiziario
A sollevare dubbi sulle modalità dello sgombero è stato l’avvocato Mirko Mazzali, legale del Leoncavallo. Secondo il professionista, le autorità hanno anticipato l’azione rispetto alla data originariamente fissata al 9 settembre, dopo un’ordinanza del Questore.
“Bisogna capire su quali presupposti sia stata presa questa decisione”.
Lo stesso Mazzali ha parlato di “scelta politicamente debole” nel ripetere, a distanza di oltre quarant’anni, un provvedimento di questo tipo.
Sul fronte legale, nell’ottobre 2024 la Corte d’Appello di Milano aveva condannato il Ministero dell’Interno a risarcire oltre 3 milioni di euro ai proprietari per il mancato sgombero protratto negli anni. Secondo i giudici, l’amministrazione era rimasta “inerte” nonostante fosse a conoscenza della natura abusiva dell’occupazione.
La replica del Leoncavallo: assemblea e presidio
Gli attivisti hanno reagito annunciando un’assemblea pubblica alle 18 davanti al centro. Il gruppo ha definito lo sgombero “un regalo alla destra” e un tentativo di cancellare un simbolo scomodo: “I simboli fanno paura, la storia ancora di più”.
La memoria storica del Leoncavallo
Fondato nel 1975 in via Mancinelli, il Leoncavallo ha attraversato decenni di storia cittadina, intrecciandosi con i movimenti politici, sociali e culturali di Milano.
La prima sede nacque grazie all’iniziativa di collettivi antifascisti e comitati di quartiere. Negli anni successivi, il centro si radicò nel tessuto popolare della periferia nord-est, offrendo spazi per concerti, laboratori, una scuola popolare, una tipografia per la contro-informazione e persino una radio libera, Specchio Rosso.
Il Leoncavallo si fece anche promotore di iniziative di sicurezza dal basso, come le “ronde anti-spaccio”, e divenne teatro di battaglie civili e politiche. Una pagina drammatica della sua storia fu l’assassinio, nel 1978, di due giovani frequentatori, Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci, uccisi per le indagini che stavano conducendo sul traffico di eroina nei quartieri popolari.
Dal 1994 la sede di via Watteau era diventata la casa stabile del centro sociale, fino allo sgombero di oggi.
Una ferita aperta per Milano
Lo sgombero del Leoncavallo non rappresenta solo la chiusura di una lunga vertenza legale. Segna la fine di un’esperienza collettiva che ha inciso profondamente nella storia politica e culturale della città. Ora la vicenda, chiuse le strade giudiziarie, si sposta sul piano politico, con il rischio di lasciare un vuoto in un quartiere e in una comunità che per quasi mezzo secolo hanno trovato in quelle mura uno spazio di aggregazione e conflitto sociale.