Swatch sotto accusa in Cina: lo spot scatena la bufera e rischio boicottaggio

Un gesto giudicato razzista ha fatto esplodere l’indignazione sui social cinesi: l’azienda svizzera ritira il video e si scusa, ma il danno d’immagine rischia di pesare sul mercato asiatico.

Swatch Cina

Swatch è finita nell’occhio del ciclone in Cina dopo la diffusione di un contenuto promozionale che ha scatenato forti reazioni di protesta. Nel video incriminato, un modello occidentale viene ripreso mentre si tira con le dita gli angoli degli occhi, gesto che in Occidente richiama la caricatura razzista dei cosiddetti slanted eyes. Un simbolo derisorio, che nella cultura cinese è percepito come offensivo e discriminatorio.

La pubblicità ha immediatamente provocato un’ondata di indignazione, al punto che in molti hanno accusato Swatch di insensibilità culturale, sollevando dubbi sulla reale attenzione del marchio verso il mercato asiatico.

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L’indignazione social e il coro del boicottaggio

La polemica si è diffusa in modo virale soprattutto su Weibo, piattaforma di riferimento per l’opinione pubblica cinese. Qui, tra hashtag e commenti al vetriolo, si è moltiplicata la richiesta di boicottare i prodotti del brand svizzero.
Molti utenti hanno espresso rabbia per quella che viene considerata una mancanza di rispetto: «Fanno profitti in Cina e continuano a offenderci», scrive qualcuno. Altri rincarano la dose: «Se non reagiamo, dimostriamo debolezza. Boicottiamo Swatch dentro e fuori la Cina».

La sensazione diffusa è che non si tratti soltanto di un episodio isolato, ma dell’ennesimo esempio di incomprensione culturale da parte di un marchio internazionale.

Le scuse di Swatch: una toppa che non convince

Di fronte alla bufera, Swatch ha agito con rapidità ritirando il materiale e diffondendo un comunicato ufficiale. «Ci scusiamo sinceramente per qualsiasi malinteso o disagio causato», ha dichiarato l’azienda, assicurando di aver rimosso il contenuto a livello globale.

Tuttavia, molti utenti hanno giudicato le scuse come un gesto puramente formale, più legato al timore di danni economici che a una reale riflessione sulla questione. Per i consumatori cinesi, infatti, la credibilità di un brand passa anche dalla sensibilità culturale, e recuperare la fiducia dopo un errore simile non è mai scontato.

Non è un caso isolato: i precedenti illustri

Il caso Swatch si inserisce in una lunga lista di scivoloni comunicativi di marchi occidentali in Cina.

  • Dolce & Gabbana (2018): accusata di razzismo per uno spot in cui una modella cinese tentava di mangiare pizza e cannoli con le bacchette.

  • Nike, Adidas e H&M (2021): travolti dalle critiche e da campagne di boicottaggio dopo le prese di posizione sul cotone dello Xinjiang.

  • Uniqlo: finita temporaneamente nel mirino per la stessa vicenda.

Questi precedenti mostrano come i consumatori cinesi siano pronti a mobilitarsi contro chiunque oltrepassi quella che considerano una “linea rossa culturale”.

Impatto sul mercato e scenari futuri

La vicenda arriva in un momento delicato per il gruppo Swatch, che controlla anche marchi come Omega, Longines e Tissot. L’Asia è un mercato chiave, ma il peso della regione (Cina, Hong Kong e Macao) sul fatturato complessivo è già sceso dal 33% al 24% negli ultimi 18 mesi.

Sebbene l’azienda avesse previsto un lieve miglioramento dei numeri nella seconda metà dell’anno, l’ondata di indignazione potrebbe compromettere gli obiettivi. Per molti osservatori, infatti, il vero rischio non è tanto la singola campagna ritirata, ma la perdita di fiducia da parte di milioni di consumatori.