Russia e Internet sovrano: il giorno in cui le videochiamate si sono spente

Tra accuse di blocchi mirati, pressioni degli operatori e l’ombra del Messenger nazionale Max

Poco dopo le undici di questa mattina, un silenzio insolito si è diffuso nelle case e negli uffici di tutta la Russia. Non era un blackout elettrico, né l’interruzione di un notiziario in diretta. Stavolta, a spegnersi, sono state le voci e i volti che ogni giorno attraversavano lo schermo: le videochiamate di WhatsApp e Telegram. Per milioni di persone, soprattutto per chi ha familiari all’estero, la videochiamata non è un lusso: è un filo quotidiano che tiene uniti affetti e relazioni, a costi accessibili rispetto alle tariffe tradizionali. Oggi, però, quel filo si è improvvisamente spezzato.

A far emergere immediatamente la portata del problema è stato Downdetector, piattaforma che raccoglie in tempo reale le segnalazioni di disservizi da parte degli utenti. Intorno alle 11, ora di Mosca, il sito ha registrato un picco anomalo di reclami riguardanti le videochiamate su WhatsApp e Telegram, con grafici che mostravano una crescita improvvisa e massiccia. Grazie a Downdetector, i giornalisti hanno confermato che il problema non era isolato ma diffuso su vasta scala, individuando anche le aree più colpite: Mosca, Novosibirsk, la regione di Sverdlovsk, il territorio di Krasnodar, San Pietroburgo e Irkutsk. La coincidenza temporale tra il picco e le recenti indiscrezioni di Forbes Russia sulle pressioni per bloccare le chiamate ha rafforzato l’ipotesi di test di blocco selettivo già in corso.

Un reporter di CNews, collegato dal sud del Paese, ha raccontato di aver tentato invano più volte una videochiamata tramite connessione cablata Beeline e Dom.Ru e, in seguito, attraverso la rete mobile dei quattro principali operatori russi. Solo al quarto tentativo la chiamata su WhatsApp è andata a buon fine; su Telegram ne sono serviti cinque. Al momento della pubblicazione, nessuna spiegazione ufficiale era stata fornita. Da T2 (ex Tele2) e MTS è arrivato un identico “Non commentiamo”. Beeline non ha risposto, mentre Megafon ha dichiarato: “La nostra rete funziona regolarmente, non ci sono restrizioni da parte nostra. È possibile che i problemi siano dovuti a cause esterne”. Tuttavia, una fonte anonima, su Kommersant ha affermato che le interruzioni “potrebbero essere legate a blocchi selettivi delle chiamate in Telegram e WhatsApp, testati già dal 1° agosto”. Secondo Novaya Gazeta Europe, nelle ultime 24 ore si sono registrate oltre 6.000 segnalazioni per problemi alle chiamate su Telegram e più di 2.000 su WhatsApp, con un picco dalle 9, ora di Mosca. Alcuni utenti hanno denunciato difficoltà anche nell’invio di messaggi, suggerendo che la limitazione potesse non essere circoscritta alle sole videochiamate.

Il contesto è tutt’altro che neutro. Il 10 agosto, Forbes Russia, citando fonti governative, ha rivelato che gli operatori della “grande quattro” stanno facendo pressione per ottenere il blocco totale delle chiamate su queste app. La motivazione ufficiale? “Una forma di tutela dei cittadini”, sostenendo che l’aumento del traffico mobile e il rincaro delle stazioni base potrebbero rallentare la velocità di connessione. In più, hanno puntato il dito sui cybercriminali, che “contattano le vittime soprattutto tramite servizi stranieri”. Il Ministero dello Sviluppo Digitale non ha ancora appoggiato la proposta, ma le discussioni sono aperte.

È in questo clima che si fa strada Max, il messenger nazionale: un’applicazione di messaggistica istantanea interamente sviluppata in Russia, con funzioni di chat, chiamate vocali e video, videoconferenze di gruppo, trasferimenti di denaro, accesso a servizi pubblici e perfino strumenti di intelligenza artificiale integrati. Dal 1° settembre 2025 sarà preinstallata obbligatoriamente su tutti i nuovi smartphone venduti in Russia. Dietro Max c’è VK, il più grande gruppo tecnologico russo, noto in passato come Mail.ru Group, che controlla la principale piattaforma di social network del Paese (VKontakte, l’equivalente russo di Facebook), oltre a una vasta galassia di servizi digitali, piattaforme video, marketplace e giochi online. Stando a quanto riportato da The Times, Max conta già oltre due milioni di utenti e gode del pieno sostegno delle autorità, ma diverse organizzazioni per i diritti digitali avvertono che potrebbe diventare uno strumento di sorveglianza di massa.

Negli ultimi mesi, la pressione sul web russo è aumentata: i dati governativi riportano che, nel solo giugno 2025 si sono registrati 655 blackout della rete mobile, ufficialmente giustificati come misure anti-drone. E già a luglio, un deputato della Federazione Russa aveva detto a Reuters che WhatsApp “dovrebbe prepararsi a lasciare il mercato russo» perché considerato «una minaccia per la sicurezza”. Non è un fulmine a ciel sereno: il concetto di “internet sovrano” è stato introdotto in Russia già nel 2019, con una serie di leggi volte a centralizzare il controllo del traffico dati e a rendere possibile il filtraggio o il blocco di specifici servizi online.

Questa vicenda non è un semplice episodio ‘tecnico’: è il riflesso di una strategia di lungo periodo, con cui la Russia sta progressivamente chiudendo il proprio spazio digitale alle piattaforme straniere per sostituirle con servizi nazionali sotto controllo statale. L’interruzione delle videochiamate su WhatsApp e Telegram – a ridosso della promozione forzata di Max – rappresenta un banco di prova per la “sovranità digitale” voluta dal Cremlino, in cui sicurezza informatica e controllo politico si intrecciano. Sul piano geopolitico, questo rafforza la separazione tecnologica tra Russia e Occidente, alimenta un internet frammentato in sfere d’influenza e rende più difficile il flusso libero di informazioni e comunicazioni transfrontaliere. In prospettiva, la sostituzione delle piattaforme occidentali con strumenti nazionali come Max potrebbe ridurre la dipendenza tecnologica dall’estero, ma al prezzo di una crescente sorveglianza interna e di un isolamento digitale sempre più marcato.

© Riproduzione riservata.