
L’inchiesta giudiziaria che ha travolto alcuni protagonisti della scena urbanistica milanese, con sei arresti eccellenti, getta un’ombra pesante sull’amministrazione guidata da Beppe Sala. Anche se il gip ha escluso l’ipotesi di induzione indebita nei confronti del sindaco, l’eco politica e morale degli eventi resta assordante. Perché al di là della responsabilità penale, che spetta alla magistratura accertare, esiste una responsabilità politica e amministrativa da cui Sala non può sottrarsi.
Milano oggi è una città ferita. Ferita non solo da un sistema che sembra aver trasformato l’urbanistica in un terreno di scambi opachi tra poteri pubblici e interessi privati, ma anche da un’amministrazione che si è rivelata impreparata, ambigua, distratta. Il fatto che il sindaco sia ancora indagato per aver firmato un’autocertificazione sull’assenza di conflitti d’interesse di Giuseppe Marinoni, presidente della Commissione Paesaggio, non è un dettaglio tecnico. È il segno di una catena di superficialità, se non di complicità passiva, che mina profondamente la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.
La riqualificazione del cosiddetto “Pirellino”, edificio strategico e simbolico nel cuore della città, si è trasformata in un caso esemplare di cattiva amministrazione. Pressioni documentate, messaggi ambigui, una filiera tecnica piegata agli interessi economici del costruttore di turno. Non sarà reato, come ha stabilito il giudice, ma è l’esatto contrario della buona gestione della cosa pubblica.
C’è un passaggio chiave nell’ordinanza che non può essere ignorato: il giudice ha definito “indegno” il comportamento di Marinoni, nominato da Tancredi e, indirettamente, da Sala stesso. Lo ha ritenuto succube e privo dell’imparzialità necessaria al suo ruolo. Che ciò sia bastato a far virare i pareri della commissione da due bocciature a un’approvazione nel giro di pochi mesi è un fatto gravissimo. Non serve la corruzione, nel senso tecnico del codice penale, per parlare di degenerazione del rapporto tra funzione pubblica e interessi privati.
È qui che si innesta la responsabilità politica del sindaco. Sala non è uno sprovveduto, né un ingenuo. È un manager esperto, con alle spalle l’Expo e due mandati da primo cittadino. Non poteva non sapere. Non poteva non accorgersi che quella commissione era fragile, che le pressioni si moltiplicavano, che l’architetto Boeri arrivava a suggerire di “far intervenire il sindaco” per ottenere il via libera al progetto. Che Sala abbia risposto in modo interlocutorio non basta a lavarsene le mani.
Nel frattempo, Milano resta bloccata. I cantieri sono fermi, migliaia di famiglie attendono una casa, e i loro risparmi sono esposti a rischi che oggi nessuno è in grado di calcolare. È legittimo che i cittadini si chiedano chi risponderà se questi progetti falliranno. E perché i controlli interni del Comune non hanno funzionato.
Gli arresti, arrivati dopo mesi di indagini e interrogatori, lasciano interdetti anche per la loro tempistica. Ci si attendeva un processo, un confronto pubblico, non il clamore delle manette. Ma proprio per questo, oggi, serve un’assunzione di responsabilità netta e inequivocabile.
Il sindaco Beppe Sala dovrebbe trarne le conseguenze. Per rispetto verso la città, verso chi ancora crede in un’amministrazione trasparente, verso quei cittadini che ogni giorno fanno il proprio dovere senza scorciatoie né favoritismi. Milano merita di più. E forse, oggi, merita di voltare pagina.