Riconoscere la Palestina non è più un’opzione

Il gesto della Francia costringe l’Europa a guardarsi allo specchio. E a scegliere da che parte stare della storia.

Il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez

In un mondo che ha fatto della retorica sui diritti umani un mantra ripetuto fino all’apatia, il riconoscimento dello Stato di Palestina è divenuto un gesto rivoluzionario nella sua semplicità. Con l’annuncio del presidente Emmanuel Macron, la Francia è il primo Paese del G7 a rompere un tabù occidentale lungo decenni: riconoscere ufficialmente la sovranità palestinese.

Non si tratta solo di un atto simbolico, né di una concessione ideologica. È una mossa lucida, politica, storica. È il recupero di una coerenza che l’Occidente ha smarrito, spesso preferendo l’ambiguità a un’azione giusta. Riconoscere la Palestina oggi significa affermare che il diritto internazionale non è una cornice opzionale, ma una bussola vincolante anche per chi detiene il potere globale.

Oggi 147 dei 193 Stati membri delle Nazioni Unite riconoscono ufficialmente lo Stato di Palestina. Tra i Paesi del G20, hanno già compiuto questo passo Argentina, Brasile, Cina, India, Indonesia, Messico, Russia, Arabia Saudita, Sudafrica e Turchia. Nessun Paese del G7 lo aveva fatto, fino ad ora.

La gran parte dei Paesi africani, asiatici e latinoamericani ha riconosciuto la Palestina fin dal 1988, anno in cui l’OLP, Organizzazione per la Liberazione della Palestina, proclamò l’indipendenza. A mancare erano, e in larga parte restano, le democrazie occidentali. Ancora oggi, Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Italia mantengono una posizione ambigua, trincerandosi dietro un silenzio diplomatico che ha smesso da tempo di essere neutrale.

Macron ha scelto un altro sentiero, spinto, pare, da un misto di frustrazione per il peggioramento della crisi umanitaria a Gaza, dal blocco diplomatico attorno alla soluzione a due Stati e da un senso di responsabilità politica. La guerra, le migliaia di vittime civili e l’assenza di un orizzonte credibile hanno reso evidente una verità scomoda: senza un riconoscimento formale del diritto palestinese all’esistenza, la pace resterà una favola da salotto, ma un miraggio nei territori occupati.

Nel 2024 e 2025, altri Paesi hanno fatto lo stesso: Irlanda, Spagna, Norvegia, Slovenia, Armenia, Bahamas, Barbados, Giamaica, Trinidad e Tobago, Messico. Un’onda diplomatica che non è ideologica, ma pragmatica: senza due Stati non ci sarà pace. Senza dignità non ci sarà sicurezza, per nessuno.

Riconoscere la Palestina non significa legittimare l’odio o l’estremismo. Significa, al contrario, rafforzare i moderati, dare spazio a un’autonomia responsabile, pretendere riforme dall’Autorità Palestinese e isolare chi usa la sofferenza come arma.

La mossa francese è anche un segnale all’Europa: è ora di assumersi una responsabilità storica. Non basta più parlare di pace mentre si sostiene, di fatto, lo status quo. L’equilibrismo occidentale ha prodotto solo stallo, umiliazione, disperazione. Il riconoscimento della Palestina è un investimento nella pace, non una concessione.

Serve coraggio, ma soprattutto serve coerenza. Macron l’ha dimostrata. Ora tocca agli altri. E l’Italia?

Restare in silenzio, oggi, non è neutralità. È complicità.