Iveco tra Tata e Leonardo: l’Italia in bilico tra mercato e sovranità

Mentre la famiglia Agnelli tratta la vendita del colosso industriale con il gigante indiano Tata, la divisione difesa resta fuori dall’accordo e attira l’interesse di Leonardo. Un duello silenzioso che ridefinisce il futuro dell’industria italiana tra geopolitica e poteri forti

Torino, luglio 2025. Sulle scrivanie di Exor, la holding della famiglia Agnelli-Elkann, prende forma uno dei dossier più delicati degli ultimi anni: la possibile cessione del gruppo Iveco. Ma non si tratta di una vendita come le altre. In ballo non c’è solo una società, ma un’intera visione del futuro industriale italiano. A interessarsi all’acquisto è un gigante lontano, per tradizione e geografia: Tata Motors, colosso indiano dell’automotive, che si è fatto avanti con discrezione, ma con idee molto chiare.

A riportarlo, con grande risalto, è stata l’agenzia Reuters il 18 luglio scorso. Secondo fonti riservate, Tata avrebbe già avviato contatti con Exor per valutare l’acquisto del core business civile di Iveco Group, ma con un dettaglio tutt’altro che secondario: l’accordo escluderebbe la divisione militare, la Iveco Defence Vehicles (IDV), il vero cuore strategico dell’azienda. Un’esclusione tutt’altro che casuale, che apre un secondo capitolo della trattativa, forse ancor più complesso del primo.

La divisione difesa, infatti, non sarà compresa nel pacchetto per Tata. È destinata a una cessione separata, e già da mesi diversi soggetti europei e internazionali si contendono il controllo di un comparto considerato strategico non solo per l’industria, ma per la sicurezza nazionale. A maggio, Iveco aveva già annunciato la volontà di scorporare formalmente IDV entro la fine del 2025 e le manifestazioni d’interesse non si sono fatte attendere. Tra i pretendenti c’è Leonardo, in alleanza con Rheinmetall, che ha presentato un’offerta economicamente inferiore alle concorrenti — si parla di circa 1,6 miliardi di euro — ma considerata la più “politicamente digeribile” per Palazzo Chigi. Altri gruppi come la franco-tedesca KNDS e il conglomerato ceco CSG hanno messo sul piatto offerte superiori, sfiorando i 2 miliardi. Ma in un contesto dove la geopolitica conta quanto l’economia, il prezzo non è tutto.

Il governo italiano osserva da vicino. Il Ministro dell’Industria Adolfo Urso ha dichiarato che la situazione viene “monitorata con la massima attenzione”, evitando di evocare direttamente il ricorso al golden power, ma lasciando intendere che ogni mossa su IDV dovrà passare al vaglio della presidenza del Consiglio. Del resto, già nel 2021 Roma aveva bloccato la proposta di acquisizione di Iveco da parte del gruppo cinese FAW. Il precedente non è stato dimenticato.

In parallelo, il nome di Tata comincia a circolare sempre più insistentemente nelle stanze del potere economico europeo. Non è un attore sconosciuto. Ratan Tata era legato da stima personale a Giovanni Agnelli e la collaborazione tra Fiat e Tata affonda le radici nel passato, basti pensare al famoso motore Multijet condiviso. Oggi però il contesto è cambiato. L’ingresso di un gruppo indiano in un pezzo importante dell’industria manifatturiera italiana suscita riflessioni che vanno ben oltre il mercato. È un segnale dei tempi, di un nuovo ordine economico multipolare, in cui anche le alleanze industriali diventano espressione di visioni geopolitiche.

La mossa di Tata, comunque, sembra studiata con attenzione: l’India guarda con crescente interesse all’Europa e ai suoi marchi storici. Iveco, con il suo know-how, i suoi stabilimenti, la sua rete commerciale globale, rappresenta un’occasione rara. Secondo quanto riportato ancora da Reuters, le valutazioni preliminari indicano un valore di mercato del gruppo intorno ai 4,2 miliardi di euro, esclusa la difesa. Un’operazione di questa portata potrebbe rafforzare la presenza di Tata nel continente e aprire scenari di sinergia tecnologica e commerciale.

Nel frattempo, la tensione cresce anche sul fronte sindacale. I lavoratori, tramite la FIOM-CGIL e altre sigle, chiedono chiarezza. Temono che la vendita possa tradursi in un progressivo smantellamento degli stabilimenti italiani, o in una perdita di controllo su tecnologie chiave. Il grido d’allarme arriva forte: il governo convochi tutte le parti prima che sia troppo tardi. Anche perché — sottolineano i rappresentanti sindacali — un conto è vendere un’azienda, un altro è svendere un pezzo di sovranità industriale.

E mentre le trattative proseguono, i giochi di potere si intensificano. Da una parte c’è la tentazione, forte, di accettare l’offerta più alta. Dall’altra, la consapevolezza che IDV produce veicoli blindati e sistemi critici per la difesa italiana ed europea, in un contesto di guerra permanente ai confini del continente. La bilancia oscilla tra l’interesse economico e la responsabilità strategica.

In questo scenario, Tata non è il cattivo della storia. Il gruppo indiano si presenta con garanzie, dialoga con Exor in modo diretto, evita di puntare alla difesa e propone un modello di collaborazione industriale e tecnologica, più che di acquisizione predatoria. Ma anche questo non basta a rassicurare chi teme che, una volta passato di mano, Iveco possa gradualmente perdere il suo baricentro italiano.

Mentre luglio volge al termine, tutto sembra ancora in bilico. Eppure, si ha la sensazione che le decisioni saranno prese presto, forse già entro l’autunno. La posta in gioco non è solo il destino di un’azienda storica. È il ruolo dell’Italia nel nuovo scacchiere industriale globale. Un ruolo da giocare con lucidità, orgoglio e visione.