Ucraina, l’alleato dimenticato

Tagli agli armamenti, silenzi europei e aperture a Mosca: il conflitto che doveva difendere l’Occidente è ormai trattato come un fastidio geopolitico

Trump

A poco più di tre anni dall’invasione russa, l’Ucraina appare oggi più sola che mai. Lo stop annunciato dal Pentagono alla fornitura di missili antiaerei, in particolare quelli della famiglia Patriot, rappresenta più di una battuta d’arresto logistica: è il segno concreto di un disimpegno politico ormai evidente.

Le parole di Donald Trump, che solo pochi giorni fa aveva promesso aiuti a una giornalista ucraina in lacrime, si sono rivelate un esercizio di retorica emotiva privo di effetti reali. I missili destinati a Kiev sono stati dirottati verso il Medio Oriente, dove l’escalation tra Israele e Iran ha spinto gli Stati Uniti a rivedere le proprie priorità strategiche. È una scelta legittima, forse inevitabile. Ma resta il fatto che l’Ucraina sta pagando il prezzo di questa ricalibratura.

Le cifre sono impietose: oltre 23mila attacchi aerei russi nei primi sei mesi del 2025, con un bilancio crescente di vittime civili. Intanto, le scorte occidentali si assottigliano, la produzione non tiene il passo della domanda e i governi iniziano a trattenere le armi rimaste. Ma è difficile non notare che, mentre i missili non arrivano, le terre rare ucraine sono già state messe al sicuro, acquisite e protette da interessi industriali occidentali. In altre parole: ciò che serviva è stato preso, ciò che resta può attendere.

Nel frattempo, Washington fa un passo indietro anche sul fronte delle sanzioni. La rimozione, definita “erronea”, delle restrizioni all’agenzia russa Rosoboronexport è solo l’ultimo episodio di un graduale allentamento delle misure punitive contro il Cremlino. L’amministrazione Trump, più che intensificare la pressione, sembra tollerare le manovre con cui Mosca aggira le restrizioni attraverso società di comodo. Le ragioni? Ufficialmente logistiche, in realtà sempre più politiche.

In questo scenario, l’Europa tace. Assente o irrilevante, il Vecchio Continente osserva da lontano, incapace di esprimere una linea autonoma o di supplire al vuoto americano. Le promesse fatte a Kiev si scontrano con bilanci difensivi esangui e una volontà politica ormai evaporata. Nessuna iniziativa diplomatica forte ha ridato centralità alla questione ucraina.

Mentre gli alleati occidentali si defilano, la Corea del Nord invia 30mila uomini a sostegno della Russia, triplicando il proprio contingente. La guerra, che doveva dimostrare la forza dell’Occidente unito, sta diventando il palcoscenico di un nuovo ordine multipolare in cui l’Ucraina è ridotta a campo di battaglia per interessi altrui.

Zelensky prova a tenere il fronte aperto: cerca rassicurazioni, invoca chiarezza, ma sa che le risposte saranno più lente delle bombe. Il Segretario generale della NATO, Mark Rutte, ha ammesso che l’Ucraina “non può farcela senza l’aiuto degli alleati”. Una verità tanto evidente quanto, ormai, inascoltata.

La sensazione crescente è che l’Ucraina sia servita a dimostrare un principio, non a difenderlo fino in fondo. Ha avuto sostegno quando la guerra era lo specchio di una narrazione occidentale su valori e confini. Ora che il conflitto si trascina, che i costi aumentano e che altri teatri strategici emergono, Kiev sembra diventata un fardello più che una causa.

La storia saprà distinguere tra chi ha difeso un’alleanza e chi l’ha monetizzata. Per ora, resta un paese in guerra, sempre più solo, e un Occidente che, dopo averlo esibito come simbolo, ora lo lascia sopravvivere con le briciole.