Sangue, tradimenti e fentanyl: Messico, guerra civile nel Cartello di Sinaloa

Dopo la cattura di El Mayo Zambada e la faida scatenata dai figli di El Chapo, il Cartello di Sinaloa è piombato in una spirale di violenza che ha provocato quasi 2.000 morti. Tra esecuzioni pubbliche, accordi segreti e accuse internazionali, il Messico si ritrova ostaggio di un conflitto senza precedenti.

Messico guerra

Nel cuore del Messico nord-occidentale, il sangue ha ripreso a scorrere con una violenza che richiama i peggiori anni della guerra al narcotraffico. Sotto un cavalcavia dell’autostrada che attraversa Culiacán, capitale dello Stato di Sinaloa, quattro cadaveri decapitati penzolano come monito. Poco distante, un furgone abbandonato cela altri sedici corpi. Accanto, pezzi di stoffa imbrattati da scritte rosse, probabilmente messaggi intimidatori firmati da “Los Mayitos”.

Questo macabro scenario non è un episodio isolato, ma l’ennesimo atto di una guerra intestina che da quasi un anno lacera il Cartello di Sinaloa, la più potente organizzazione criminale del Paese. Dallo scorso luglio, si contano oltre 2.000 vittime.

La frattura dopo El Chapo: due anime in guerra

Tutto ha origine da un vuoto di potere. Con l’estradizione di Joaquín “El Chapo” Guzmán negli Stati Uniti nel 2016, l’impero da lui costruito ha iniziato a sfaldarsi. Il Cartello di Sinaloa, fino ad allora una confederazione di gruppi coordinati, si è diviso in due blocchi in guerra tra loro.

Da una parte ci sono Los Chapitos, i quattro figli di El Chapo, che si sono imposti come nuovi leader, mantenendo il controllo su rotte e affari. Dall’altra, Los Mayitos, sostenitori del cofondatore Ismael “El Mayo” Zambada García, storico braccio destro di Guzmán e simbolo di una leadership più “classica”.

La spaccatura si è trasformata in un conflitto armato ad alta intensità, alimentato da enormi profitti, traffico di cocaina, fentanyl e esseri umani, e una disponibilità pressoché illimitata di armi moderne.

Il tradimento che ha incendiato tutto

L’episodio che ha fatto esplodere la tensione è arrivato nel luglio 2024. In un gioco di inganni degno delle spy story più torbide, uno dei figli di El Chapo – Joaquín Guzmán López – ha convinto El Mayo a imbarcarsi su un volo, consegnandolo poi alle autorità americane. Da quel momento, il fuoco della vendetta ha investito ogni angolo di Sinaloa.

La cattura di El Mayo ha scatenato una reazione feroce: uccisioni di massa, rappresaglie quotidiane, violenze anche contro le forze armate. Il conflitto non conosce tregua, e nessuno sembra in grado di fermarlo.

Accordi segreti e tensioni internazionali

A peggiorare il quadro è intervenuta la politica. Il governo messicano, guidato dalla presidente Claudia Sheinbaum, ha denunciato gli accordi “oscuri” tra la giustizia statunitense e i membri del cartello, in particolare con Dámaso López Serrano, ex alleato di El Chapo e coinvolto nell’omicidio del giornalista Javier Valdéz.

La presidente ha attaccato apertamente Washington, accusando gli USA di agire unilateralmente e chiedendo spiegazioni sui benefici giudiziari concessi a criminali internazionali. Anche il procuratore generale messicano Alejandro Gertz ha espresso dure critiche, rivelando che sono state inviate ben quattro richieste ufficiali per l’estradizione di El Mayo, senza ottenere risposta.

Nel frattempo, lo stesso Joaquín Guzmán López – il figlio traditore – avrebbe intavolato trattative con il Cartello di Jalisco Nuova Generazione, storico rivale del Sinaloa. Se confermata, questa mossa potrebbe innescare una nuova escalation di sangue.

Le vittime invisibili: l’infanzia nel mirino

Nel caos, a pagare il prezzo più alto sono ancora una volta i civili. Il ministro della Sicurezza, Omar García Harfuch, ha confermato che dal settembre 2024 sono stati uccisi almeno 30 bambini nello stato di Sinaloa. Le morti – ha detto – sono “conseguenza diretta del conflitto tra le fazioni dei Chapitos e dei Mayitos”.

In meno di un anno, il solo Stato di Sinaloa ha registrato oltre 800 omicidi, molti dei quali con modalità brutali e pubbliche, come a voler ribadire chi comanda davvero nel territorio.

Uno scenario senza via d’uscita

La situazione è ormai fuori controllo. Il Cartello di Sinaloa, una volta simbolo di potenza compatta, è oggi dilaniato da una guerra interna che coinvolge eserciti privati, milizie governative, potenze straniere e una popolazione stremata. Le faide, alimentate da narcodollari, traffici globali e vendette personali, sembrano destinate a protrarsi ancora a lungo.

Il paradosso più inquietante? Gli USA, nemico giurato dei cartelli, sembrano oggi attori inconsapevoli – o peggio, complici – di un gioco che rischia di incendiare non solo il Messico, ma l’intera regione.

La polveriera messicana

In questa partita mortale per l’eredità di El Chapo, nessuno sembra avere davvero il controllo. I Chapitos tentano di consolidare il potere con alleanze pericolose; i Mayitos invocano vendetta; lo Stato fatica a riprendere il timone. Intanto, la scia di sangue continua a crescere. Il cartello che fu un tempo il più temuto al mondo ora è vittima della sua stessa sete di dominio.